Domenica. 8.30. Mi sono svegliata male. Mio figlio è piombato nel lettone con un doppio salto carpiato. È atterrato sul materasso provocando onde d'urto che avranno sentito pure in centro Italia. Mi ha augurato il buongiorno strillando: "Mamma, montiamo il lego della caserma di Sam il pompiere?".
Con un filo di voce mi sono ripetuta che suo padre desiderava una bambina, ma io, al solo pensiero che me la trombassero, avrei preferito una colonia di gatti, tuttavia mi avrebbe svegliata con maggior dolcezza e proposto di fare i biscotti o di uscire per lo shopping. Non ho dubbi, se avessi avuto una figlia, a cinque anni e mezzo, le avrei messo ai piedi un paio di Jimmy Choo e non quelle orribili New Balance, sempre sporche e puzzolenti, che accompagnano un uomo da zero a ottant'anni.
Era tardi per i ripensamenti, c'era un problema da risolvere: quanto tempo avrei impiegato a montare la caserma? Milleottocentosessantasette pezzi gentilmente omaggiati da Zì Carli senza alcuna consapevolezza che richiedessero una settimana di lavoro per completare l'opera. E poi la beffa: gioco adatto a bambini di sei anni. Ma per favore! È più facile montare la libreria Billy di Ikea che gli omini dei lego. 'Manco il figlio di Einstein ci riuscirebbe da solo. Il mio oltre i trenta pezzi non va, figuriamoci mio marito. Solo una mamma può avere la determinazione per farlo o Zì Carli. Ecco la soluzione!
Mi sarei alzata, vestita e portato figlio&scatola da lei per il montaggio. Questo pensiero mi spinse ad abbandonare il letto ancora caldo e accogliente.
Mentre barcollavo verso il bagno, un altro temibile pensiero prese il sopravvento: la domenica era il giorno del controllo del peso settimanale. 'Fanculo!
Due settimane di pranzi e cene per festeggiare dal Natale cattolico a quello ortodosso, in barba al calendario gregoriano, ed eccomi al cospetto della bilancia con la stessa paura con cui da piccola misi la manina dentro alla Bocca della Verità, per avere la consapevolezza che io e la dieta non eravamo avvinti da un legame indissolubile. Avevo provato a resistere: al panettone con le gocce di cioccolato, alla crema mascarpone in ogni variante di gusto e colore, ai tonnarelli cacio e pepe, ai fagioli con la cotica, alla coda alla vaccinara, ma la mia bocca si era aperta davanti a ogni tentazione. Cosa mi avrebbe detto stamattina la bilancia? Sì, perché la mia bilancia non segnala solo il peso ma lo proclama con una voce metallica e un pò stronza, facendolo udire fino in piazza. La tensione stava montando e immaginavo i vicini, con le orecchie tese, pronti a commentare quanto fossi ingrassata durante le feste: "Eh, anche per lei gli anni passano, si è sfondata di dolci. Ma vi ricordate che fisichino che aveva?"
Avrei potuto evitare la pesata, ma mi sarei sentita in colpa per tutta la settimana come una scolaretta che va scuola senza aver fatto i compiti. Mi spogliai di tutto, orecchini compresi, pur di guadagnare qualche etto e mi guardai allo specchio. A occhio mi parve tutto ok, ero sempre benevola con me stessa, e che la vacanza a Roma avesse solo rimpolpato seni e fianchi, nulla a che vedere con il corpo rinsecchito che regala "la Milano da bere". Feci un bel respiro e saltai sulla bilancia. Vidi i numeri susseguirsi sul display come la pallina che gira al contrario sul disco della roulette e fermarsi su: cinquantaduepuntodue. Il banco paga! Un miracolo!
Non ero ingrassata, il mio dietologo non si sarebbe accorto di nulla e avrei potuto continuare a recitare la parte della santarellina nonhomaisgarrato.
Uscii dal bagno con un sorriso trionfante e l'aureola in testa.
Ad aspettarmi c'era mio figlio. Con il suo scatolone da millevattelapesca pezzi e un'espressione inequivocabile.
Era il momento della resa: il Paradiso non è gratis.