Ilaria aveva già raccontato quella storia due volte. Aveva detto che si era lavata in fretta le mani nel lavello della cucina, aveva afferrato il cellulare ed era scesa in cerca di Chicca. Aveva chiamato la polizia ed insieme l'avevano aspettata fuori di casa, sedute sulla soglia del palazzo, con la bambina nascosta tra le sue braccia. Braccia che la proteggevano dal brutto della vita e da un venticello fresco di metà aprile.
«Signora dobbiamo andare al commissariato» l'ispettore la distolse dai suoi pensieri. «Ha qualcuno a cui affidare la bambina per stanotte? Sarebbe meglio non portarla con noi per adesso, avremmo modo di parlare con lei con più calma.»
«Posso sentire mia madre» disse Ilaria, poi abbassò lo sguardo. «Oddio non sa ancora nulla, sarà uno shock...» aggiunse con un certo sgomento nella voce.
«L'avverta subito se può. Agente Pizzi accompagni la signora a preparare una borsa con le cose sue e della bambina.»
«Sissignore.»
«Per qualche giorno non potrà tornare in questa casa, saranno fatti i rilievi e messi i sigilli fino a che non sarà tutto chiarito» disse l'ispettore.
«Capisco» disse Ilaria. Schiacciò quel che restava della sigaretta nel posacenere, il mozzicone smise di fumare solo qualche secondo dopo.
Seguita dall'agente Pizzi entrò in camera della figlia, che le gettò subito le braccia al collo. Il piccolo tavolo rotondo dell'IKEA era apparecchiato con tazzine e piattini e tre pupazzetti erano i commensali, anche l'assistente sociale, seduta sul letto, teneva in mano una tazzina rosa. Ilaria ricambiò l'abbraccio e si sentì sollevata vedendola giocare. Forse, solo forse, non si era resa conto di cosa fosse successo.
«Amore che ne dici se andiamo a stare qualche giorno da nonna Ilda? Sarà bello, dormiremo nella mia vecchia stanza. Magari puoi chiedere alla nonna di farti i biscotti con il cioccolato».
«Sììì!» disse entusiasta la bambina.
«Ok allora, io la chiamo e tu intanto scegli i giochi che ti vuoi portare, poi torno e prepariamo i vestiti. Dai che le facciamo una bella sorpresa.»
La bimba si mise a saltellare scegliendo molte più cose di quelle che le sarebbero entrare nello zainetto ed Ilaria andò in camera sua. Da sotto il letto prese un piccolo trolley nero.
«Quanti giorni pensa che ci vorranno?» chiese all'agente.
«Non saprei signora, qualcuno almeno. Una settimana, forse di più.»
«Ok» disse Ilaria, posando la valigia sul letto e aprendo la zip. Mentre cominciava ad aprire i cassetti del comò prese il cordless e digitò il numero della madre. Rispose al terzo squillo.
«Mamma ciao, sono Ilaria. Io e Chicca avremmo bisogno di stare da te qualche giorno e... No tutto ok, poi ti spiego. Sì sì, sta bene, io anche. Sì c'entra lui. No. No è finita mamma, non ci darà più fastidio.» A quelle parole gli occhi di Ilaria si riempirono di lacrime e la tensione, finalmente, trovò il modo di uscire. Tuffò il viso tra le mani cominciando a piangere, lei cadde a sedere sul letto e il cordless a terra.
L'agente Pizzi lo raccolse. «Signora buonasera, sono l'agente Pizzi. Tra poco sua nipote sarà da lei, la accompagnerà un colleg... Tutto bene signora...sì sta bene» l'agente gettò un'occhiata a Ilaria, che stava piangendo accasciata su se stessa dondolando quasi impercettibilmente. «Sta preparando un bagaglio. Si tratta di alcuni giorni, le spiegherà il collega, tra poco. Può darmi il suo indirizzo per favore? Arriveranno entro mezz'ora. Sì tutto bene, stia tranquilla. Grazie e buonasera.» L'agente annotò l'indirizzo sul taccuino poi rimise il telefono sulla base. Ilaria stava ancora piangendo, non accennava a calmarsi.
«Posso aiutarla signora?» le chiese l'agente, il tono era diventato da formale a confidenziale. Il suo mestiere le imponeva di essere distaccata in ogni circostanza, ma c'erano situazioni in cui il distacco era l'unica cosa che non riusciva a provare. Si accovacciò davanti a Ilaria e le mise una mano sulle ginocchia «Posso aiutarla in qualche modo?» ripeté.
«Ora mi passa, grazie» le rispose Ilaria, con la voce nasale. «Mi dia un minuto.»
«Certo.» L'agente Pizzi si sedette sul letto accanto a Ilaria, aspettando che riprendesse il controllo del suo respiro e della sua vita.
L'agente Pizzi desiderò con tutte le sue forze che fosse andata così. Lo desiderò non appena varcata la soglia di casa, quando le era bastato addentrarsi solo di qualche passo per capire cosa fosse successo.
Il primo sentimento che provò fu orrore. Subito dopo seguì una vampata di rabbia violenta e poi una tristezza tagliente. Nella casa c'erano segni di colluttazione e l'agente Pizzi pensò che Ilaria avesse tentato di difendere in ogni modo se stessa e sua figlia, anzi ne fu subito certa. Una donna può anche arrendersi ad un certo punto, ma una madre no. Mai. Lei non si sarebbe mai arresa di fronte a nulla per difendere i propri figli ed era sicura che anche Ilaria avesse lottato fino alla fine. Poi era stata prevaricata, disarmata, sconfitta. Era stata sovrastata dalla follia di un uomo, da quella convinzione marcia di essere al di sopra di qualsiasi altro essere umano, al di sopra di Dio.
Dalle indagini venne fuori che la signora Calamai aveva sporto alcune denunce verso l'ex marito negli ultimi quattro mesi, sia per stalking che per aggressione. La signora Calamai aveva paura e temeva per l'incolumità sua e di sua figlia. La signora Calamai aveva ragione a preoccuparsi e aveva espresso i suoi timori come aveva potuto, cercando di gridarlo attraverso una voce che non riesce quasi mai a farsi ascoltare in tempo. A poco valse la caccia all'uomo che si era conclusa in sole tre ore, ormai la signora Calamai e sua figlia avevano perso, la partita era chiusa.
La signora Calamai, Ilaria, trentadue anni, impiegata, era riversa a terra in una pozza di sangue rosso vermiglio uccisa da dodici coltellate. Poco distante, sul divano del soggiorno, Francesca, quattro anni da compiere a ferragosto, giaceva abbracciata alla sua bambola. Aveva le labbra livide.
“In dubio pro reo” pensò l'agente Pizzi, la legge parla chiaro. Ma nel frattempo c'è sempre qualcuno che muore.