Immaginò che stesse provando tanta rabbia a tanta paura, la negazione che una cosa del genere potesse succedere lo stava spingendo a trovare un capro espiatorio. Non immaginava, però, che si sentisse anche perso, improvvisamente senza amici, improvvisamente solo e indifeso.
Uno dei timori più grandi di Alessio era che glielo portassero via, che venisse trovato da una famiglia e lo tenessero per sé. L'idea che un altro bambino giocasse con lui, che dormisse nella sua camera lo rendeva irrequieto e arrabbiato. A mettergli paura, invece, era il pensiero che non lo trovassero più e rimanesse da solo per strada, al freddo. Senza mangiare e senza bere, con le macchine che gli sfrecciavano veloce accanto e lui, tutto impaurito e con la coda tra le gambe, fermo sul ciglio senza sapere dove andare. Una volta, l'estate precedente, Alessio aveva visto un gattino disteso in mezzo alla strada. Una macchina lo aveva investito ed era morto. Sua madre gli aveva detto che può succedere, che anche se gli automobilisti stanno attenti capita che non facciano in tempo a frenare. Ora gli si parava davanti agli occhi l'immagine di quel micio con il pelo arruffato e una chiazza scura sotto la testa, disteso sull'asfalto. Alessio la scacciò via scuotendo la testa e le gambe, tornando a buttare gli occhi al di là del finestrino.
Il buio era quasi calato del tutto, ormai la luce del crepuscolo non era più sufficiente e gli occhi non riuscivano a spingersi oltre qualche decina di metri. Alessio aveva smesso di piangere ma non di tormentare la sciarpa. Ad un certo punto gli parve di vedere qualcosa vicino agli alberi, da un parte della strada.
«Mamma, fermati, forse l'ho visto!»
«Dove?»
«Là» disse Alessio, appiccicando l'indice al vetro. La mamma fermò la macchina illuminando con i fari il punto indicato e scesero a guardare.
Alessio camminava piano piano, calpestando foglie secche ed erba. Il respiro formava piccole nuvole bianche che uscivano dalla bocca e il naso, rosso dal pianto, stava cominciando a raffreddarsi.
«Jolly?» chiamò piano. «Jolly?».
Sua madre, poco lontano, sperò davvero che fosse nascosto lì da qualche parte. Stavolta era il suo turno di pregare.
Alessio si avvicinò ad un mucchio di cartoni in un angolo della strada, di lato ad un lampione.
«Jolly?» alzò un po' la voce. Ci sperava tanto. Sperava di non essersi sbagliato, di averlo visto davvero. Sperava che quella notte, come ogni notte, Jolly sarebbe stato in camera sua a tenere a bada i mostri.
All'improvviso, da sotto una scatola di cartone malandata, spuntò un muso impaurito che, non appena vide chi lo stava chiamando, uscì fuori e cominciò a saltare e scodinzolare senza sosta. Era lui, era Jolly, l'avevano trovato! La madre di Alessio cominciò a piangere dal sollievo e dalla gioia, Alessio invece si mise a ridere come un matto. Rideva dalla contentezza di riavere il suo amico, rideva perché Jolly lo aveva buttato in terra per fargli le feste e lo leccava dappertutto, rideva perché la mamma non gli aveva detto di alzarsi, rideva perché i mostri non sarebbero entrati in camera sua e rideva perché era di nuovo felice. Perché i bambini, quando sono felici, ridono.
Salirono tutti e tre in macchina ed Alessio stette tutto il tempo voltato indietro, a cercare Jolly come poteva. Con le mani e con gli occhi, con tutte quelle carezze e quegli sguardi che non aveva potuto dargli nelle ultime due ore. Si sentiva sollevato, sereno, completamente privo di quella cappa di terrore che lo aveva schiacciato fino a poco prima. Non serbava più rancore per sua madre, un rancore senza cattiveria e comunque figlio della paura, e, con la stessa facilità con cui i bambini tornano a giocare insieme dopo un bisticcio, una volta rientrati in casa Alessio buttò le braccia al collo della madre senza darle nemmeno il
tempo di chiudere la porta.
Jolly a cena poté gustare un paio di pezzi di hamburger e uno spicchio di mela, che Alessio gli aveva dato nemmeno tanto di soppiatto. Sua madre gli disse che aveva trovato una buca tra le piante di alloro, nella siepe, e a quella notizia Alessio sorrise con il piglio di chi ha ragione. Sapeva che Jolly non poteva essere scappato da solo e che, probabilmente, aveva inseguito un ladro, o anche un mostro, che se ne vanno in giro anche di giorno, quelli. Sua madre sorrise del tono 'di chi la sa lunga' che aveva Alessio mentre parlava e gli assicurò che avrebbe provveduto a mettere una rete tutto intorno al giardino.
All'ora di andare a letto sembrava già che non fosse successo nulla, Alessio non aveva più sul volto quell'espressione di paura e tristezza che gli aveva adombrato gli occhi per gran parte del pomeriggio. Erano tornati i due soliti smeraldi lucenti e vivaci, leggeri nella spensieratezza dei suoi anni. Dopo la favola sua madre lo baciò e gli dette la buonanotte, poi uscì lasciandosi il buio alle spalle. Jolly era disteso sul tappeto ai piedi del letto, come ogni sera. Alessio si tirò su a sedere, Jolly alzò il capo. Illuminati dalla flebile luce che emanavano le stelle fluorescenti attaccate alla parete si guardarono un attimo.
«Vieni» bisbigliò Alessio, dando leggeri colpetti sulla coperta. Jolly non se lo fece ripetere due volte, con un balzò saltò su e si mise tra il muro e il corpo del bambino. Alessio si distese e infilò una mano nel suo pelo caldo e folto e così, con quel contatto semplice ma intimo, i due amici si addormentarono.