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Una lingua di fuoco squarciava a intermittenza l’orizzonte fluttuando nel buio, miraggio lontano della città. Era tutta la vita che Moira la osservava affascinata, sognando di poterla un giorno vedere da vicino e ora era arrivato il momento di partire. Il fuoco le avrebbe illuminato la strada verso una nuova vita.
Quella sera, ascoltando i discorsi di mamma e papà, capì cosa doveva fare. Mentre tutti dormivano, infilò gli stivali e uscì di casa, sfidando il fango della sterrata. Con le prime luci dell’alba, un velo di nebbia si era alzato da terra. Moira strinse forte il foglietto di carta con l’indirizzo, accelerando il passo.
I fari dell’autobus squarciarono la nebbia ammiccando come un gatto in penombra. Dovette sbracciarsi: l’autista inchiodò e Moira salì a bordo, prendendo posto sul fondo. Per lei era del tutto naturale passare inosservata, ma quel giorno non l’avrebbe permesso.
Quel giorno era il più importante della sua vita!
Con le mani che ancora tremavano per il freddo e l’emozione, rilesse l’indirizzo sul foglietto. Ancora non riusciva a crederci: un colloquio di lavoro con la multinazionale più importante del settore!
Tirò un lungo sospiro di sollievo: sarebbe arrivata in perfetto orario. Iniziò a rilassarsi disegnando figure immaginarie sui vetri pieni di condensa.
La gente a quell’ora del mattino era mezzo addormentata, catapultata direttamente dal mondo dei sogni nella gelida realtà di novembre. Il bus era al completo: studenti che sonnecchiavano appoggiati ai sedili, vecchietti annoiati e impiegati dall’aria anonima.
Le stradine di campagna si fecero via via più ampie, il fango divenne asfalto e gli alberi ai lati della strada scomparvero. All’improvviso Moira riconobbe la fiamma che per tanto tempo le aveva tenuto compagnia.
Le lingue di fuoco della raffineria tremolavano nell’aria del mattino, i tralicci scintillavano di luce come collane di gioielli sfarzosi. Moira osservò rapita i giochi di luce, minacciosi e affascinanti al tempo stesso. Ciò che le era sembrato tanto lontano, era adesso a portata di mano.
L’autobus si fermò a poca distanza dalla multinazionale e parecchi impiegati scesero. Moira stringendosi nel cappotto scarlatto li seguì. Una fontana immensa spruzzava zampilli d’acqua riportando il motto della società: ‘’Vedere per credere’’. Sorrise tra sé scomparendo nell’immenso edificio di cristallo.
Al settimo piano l’attendeva il responsabile delle risorse umane, un uomo alto e allampanato avvolto in un completo giacca e cravatta.
«Prego, si accomodi!»
Moira trattenne il respiro mentre gli occhi di ghiaccio dell’uomo scorrevano rapidamente il suo curriculum vitae.
«Vedo che non ha esperienze d’ufficio …»
«No, ma posso imparare» replicò prontamente «ho lavorato per anni con i miei genitori, ora voglio essere indipendente e guadagnarmi uno stipendio»
L’uomo annuì e passò oltre. «Lei capirà che in azienda è molto diverso. Come se la cava con i computer?»
Moira si strinse nelle spalle «Quando mi avvicino li faccio saltare …»
«Qual è il suo rapporto con la tecnologia ?»
«Riesco a creare piccoli allagamenti e cortocircuiti. Senza danneggiare nessuno, s’intende … giusto per far notare la mia presenza»
L’uomo sorrise soddisfatto piegando il curriculum e riponendolo in un cassetto.
«Benvenuta nel nostro team!» esclamò alzandosi in piedi.
Moira spalancò gli occhi incredula e felice, stringendo la mano al suo nuovo capo.
« I viventi di città sono difficili da convincere. La frenesia metropolitana li distrae … il nostro scopo è costringerli a vedere che anche noi esistiamo»
«Vedere per credere» esclamò Moira. Il motto dell’azienda non le era mai sembrato più adeguato. Uno stipendio garantito per l’eternità non è cosa da poco, specie per un fantasma di campagna.
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