Nel buio di certe notti, Mastro Piccolo camminava avanti e indietro sotto quel tetto immenso di natura. Aveva gli occhi grandi e occhialuti. Gli capitava spesso di pensare al primo Amore, quell'irragionevole primo Amore.
Per anni credette di essersene liberato. 
Ma un "...ti amo e vado via" 
"No. Resta e partiamo insieme"
sapeva di agro, di incompleto. Come quella volta che, saranno state le due di notte e a guardare il cielo gli riforniva la memoria. Di ricordi, di attimi, fuori pieni, dentro colmi. Era lei, la presenza d'un residuo, a donarlo al mondo. Si chiamava Estrema, a volte Puttana, in alcuni attimi, Sola. Prima di chiamarsi Mastro Piccolo era stato Bestia, Buio, infine Solo. Ed è qui che s'incontrarono, quando i vuoti, le mani, la paura e i sogni non ebbero più sfogo se non nei loro nomi. Avevano un letto grande, grande quanto quello dei re e regine d'una volta. Lo usavano poco. Dormivano in giardino, fra le carezze della sera e i baci neo arrivati. Come tutti i dannati s'amarono oltremodo e senza freni, senza riflessioni importanti, con la speranza che il sentore di qualcosa d'immenso sostituisse il male, accattivante e nevrastenico che dava colore a quello strenuo vivere. Si, si vollero, si cercarono da vicino, si strinsero e non posero limiti al respiro affannoso delle corse fuori dalla villa comunale. Come nei mesi di vendemmia colsero il frutto acerbo e lo mangiarono infettandosi, poi curandosi, leccandosi a vicenda, che belli che erano. Li ricordo così, nudi, con le gambe in mezzo al mare e la parte superiore del corpo esposta alle intemperie del Tempo. Pioveva quel giorno, l'Amore sembrava un ponte altissimo a collegarli. Sola, lo asciugava e restava muta e altre gocce scivolavano su Solo, al ritmo incessante della tempesta. Sorridevano.

Quando l'ultimo corpo d'acqua svanì.....

Tutti i racconti

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04 December 2024

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