Caro Dio,
Torno a scriverti dopo un lungo tempo di silenzio in cui mi sono concesso la libertà di non pensarti. Tante sono le cose che vorrei chiederti, dopo essermi chiesto molte cose; molte infatti sono state le occasioni in cui ho vacillato con la mente e con il corpo.
Il mio nuovo mestiere è diventato volere ciò che non posso avere: un lavoro piuttosto frustrante che di solito dura 17 ore al giorno, perché le altre le impiego per dormire e per darmi un po’ di pace. Se mi nobilita forse il fatto di vedere puntualmente disattese le mie speranze e i miei desideri? Neanche per sogno: ogni giorno è una sconfitta cocente che, volta per volta, la mando giù insieme alle altre. E non finisce mica qui: mi costa davvero tanta fatica mettermi a letto quando il lupo del rimorso mi azzanna allo stomaco. Ci vuole una buona dose si spregiudicatezza per convincersi di stare bene e di meritarsi il riposo destinato; in realtà in quanto uomo dovrei essere movimento. Ma scelgo sempre la via comoda, quella della musica, lo sai, che, come il tuo S. Pietro, ha inmano le sante chiavi dell’emozione, l’unica grande isola di salvezza per noi esseri umani.
Non ho bisogno di pensarti costantemente, di rivolgermi a te nei momenti difficili, di adorarti quando adoro tutta la natura; tu sei per me il Tutto e non posso spingermi oltre questo pensiero, altrimenti peccherei di superbia. Gli affettie i sentimenti sono le migliori creazioni che l’uomo ha regalato a questa terra: quindi ringrazio l’uomo per essersi impegnato in una simile azione. Tutti però dobbiamo cozzare con le armature che ci costruiamo in materiali sempre più resistenti: le ferite che ci procuriamo tra di noi sono profonde e di vincitori non se ne vede ancora l’ombra. Pensi che io abbia intuito il senso della vita?
Una nota positiva in quello che ti sto scrivendo c’è, e se non l’hai trovata, qui te la esplicito: ogni giorno divento un uomo nuovo, in perfetto equilibrio tra le solidità dell’abitudine e il magma del desiderio. E’ una condizione che comporta anche tante difficoltà, perché significa sentirsi necessariamente diversi, ma senza alcuna sfumatura pessimistica. La realtà che mi gira intorno mi dà l’orticaria, cerco di muovere le montagne con le mani dell’immaginazione ma su queste mani ho solo i calli della penna. Le mie paure e le mie paranoie mi aspettano proprio dietro l’angolo e se sono solo, se nessuno può proteggermi, io incrocio le braccia e pianto le suole delle mie scarpe sul terreno; è il momento di aggrapparsi alla propria vita, questo lo so per certo. Ho sostituito la preghiera con la lotta e invito tutti quelli che leggeranno questa lettera a farlo; non irrigidite le vostre corazze, non fatevi risucchiare dai flutti della realtà. La peggior sensazione è quella di perdere il controllo della propria mente: siate sempre presenti a voi stessi, tutte le filosofie su questo pianeta lo ribadiscono. Solo così sarete capaci di vedere l’alba dei nuovi giorni.
Intanto io devo tornare alla mia grande occupazione, perciò ti saluto con queste ultime righe con una preghiera che ho scritto poco fa:
VI PREGO LASCIATEMI STARE.
Un abbraccio,
Dio, l’altro