Anna se ne stava davanti lo specchio, si fissava e non vedeva nulla. Priva di veli, i suoi kili di troppo ricadevano sui fianchi, il trucco pesante in volto, capelli corvini le ricadevano dietro la schiena, nei e voglie, seni appesantiti e piedi gonfi, denti ingialliti dal fumo, dita screpolate. Si detestava, ma ancor più che il corpo odiava la mente, con i suoi continui tormenti non le dava pace. Piangeva tutte le notti. Aveva sessantanni, viveva di ricordi e di rimpianti. Non aveva concluso nulla, un matrimonio, una separazione, un figlio, un appartamento, due utilitarie, una batteria di pentole, vacanze estive ai lidi, vestiti di seconda mano, carrelli colmi di prodotti scontati, pratiche evase dopo a notte fonda per non perdere il lavoro.
Uscì di casa. Si era presa mezza giornata di riposo. Scese per la via ciottolata verso il mercato. Soffiava un vento triste, senza forza e nuvole color atrancite coprivano il cielo. Si fermò al bar del quartiere. Tutti conoscevano Anna,dedita all'alcol, i suoi istinti suicidi, la sua vita isolata, la sua riluttanza verso la società nella quale però era invischiata.
Sedette al bancone, ordinò un caffè.
La vita l'aveva logorata, forse uno dei pochi esseri umani che aveva cambiato radicalmente il proprio carattere nel profondo nel corso della sua vita. Da rispettabile cittadina modello a dissoluta e nichilista. Lei non parlò mai con nessuno del motivo del suo cambiamento, che l'aveva portata a lasciare il marito, al licenziamento, all'uccisione del figlio.
Si riavviò verso casa, si fermo al market e prese due bottiglie di scadente vino rosso.
Prese un bicchiere dalla credenza, si sedette sul divano, fissò la bottiglia. Aveva i crampi allo stomaco, l'ansia la era annidata nel suo ventre e tesseva bave urticanti e partoriva ragni che le mordevano l'intestino. Iniziò a girarle la testa, si distese, fissò il soffitto, le pulsavano le tempie. Prese dalla tasca qualche pasticca e la inghiottì. Le palpitazioni diminuirono, si sentì trascendere poi si addormentò.
Era da poco calato il sole, quando Anna si svegliò, prese la bottiglia e ne tracannò due lunghe sorsate. Poi uscì di nuovo, aveva bisogno d'aria.
Camminò con calma apparente fino al parco, ma non vi entrò, ne seguì il perimetro sul marciapiede, passando sotto la luce inerte dei lampioni.
Proseguì in una via laterale. Aveva freddo, ma un freddo più siderale, un freddo che scava e svuota l'anima.
Lunghi artigli le affondarono nella carne molle tra collo e scapola mentre l'altra mano le coprì la bocca. Lei non provò nemmeno a urlare, non ne aveva le forze, stava pensando all'assurdità della vita. Si sentì trascinare verso il muro, non opponeva resitenza. Sapeva che di li a poco sarebbe stata stuprata o derubata e questo le infondeva sicurezza. Era arrivata al punto di non ritorno, era amorfa, non provava più nulla, non aveva paure o timori, non provava emozioni, forse lei ce l'aveva fatta, forse era riuscita e fottere la vita.
Le mani sudate dell'assalitore le alzarono la spessa gonna di lana, le abbassarono le mutande. Anna anzichè irrigidirsi, si eccitò e attese il membro tra la sua carne umida. Non ne poteva più, lo bravama, strinse a se l'aguzzino ma senti solamente della peluria sfiorarla e poi tiepida carne. Si strofinò su di lei, ma con delicatezza, quasi un qualcosa di amorevole e passionale nulla di brutale e spietato.
Anna ne fu delusa, era confusa, di colpò si irrigì e cerco di spingere via la donna. La selvaggia lotta imperversava per la via, strattoni, morsi, spintoni. Anna cadde, sentì correre via la donna alle sue spalle. Un rivolo di sangue dietro l'orecchio, occhi sbarrati, e la guancia poggiata sull'asfalto gelido.
Una finestra soprastante si aprì, un uomo si affacciò, fissò Anna, poi una voce femminile "Che succede caro?" "Niente, torna a letto, è di nuovo quell'ubriacona."