L'Autista suona il clacson ripetutamente, non gli piace aspettare. Io sono ancora in mutande. Poco male penso, scendo le scale di corsa e mi fiondo nella Rolls. Dove mi porterai gli chiedo, lui sorride enigmatico, come al solito. Adoro le Rolls perché sono piene di cassetti a scomparsa, almeno credo, non ho mai visto una vera Rolls Royce, però mi piace lo stesso pensare che al suo interno abbia dozzine di porte, cunicoli, passaggi segreti, sentieri di montagna, corridoi di ville barocche. In occasione dell'inverno, bianche lenzuola hanno preso il posto delle foglie sugli alberi. Il loro candore mi riporta alla mente la purezza dei miei sogni da bambino e i miei incubi da uomo, che inesorabilmente scavano attraverso i metri di neve che getto loro sopra per censurarli. Raggiungiamo un tratto di strada coperto di pantano, le ruote girano a vuoto. È colpa dei tuoi dubbi mi dice l'Autista, resteremo qui per millenni a tossire per le esalazioni sulfuree della nostra ignoranza, e da dietro i cespugli il mostro della laguna dell'inconsapevolezza attenderà paziente il momento giusto per divorarci. Non lo accetto gli grido, ti dimostrerò che sono in grado di allungare lo sguardo oltre quello che la mia immaginazione può creare. Scendo dalla vettura e con le mie nude e fragili mani mi metto a scavare in quel terreno che non esiste e che è ogni cosa. Siamo liberi amico mio, mi sono guadagnato il titolo di Imperatore. Dalla mia torre di avorio lancerò sempre sguardi benevoli verso di te. Ma l'Autista non dà peso alle mie parole, guida con irrisoria indifferenza. Sarebbe bello, gli dico, se le strade fossero lastricate di enormi tasti, come quelli delle macchine da scrivere, così ogni nostro viaggio lascerebbe una traccia scritta, da qualche parte, oltre quelle montagne, dove i martelletti corrispondenti schizzano fuori dal terreno andando a imprimere il loro carattere sui tetti delle case. Gli angeli e gli uccelli ce ne sarebbero molto grati mi dice, mi trova d'accordo. Squilla il telefono, non voglio rispondere. Dall'altro capo del filo c'è fermento, un intero pianeta di responsabilità e doveri esige una mia risposta, ma io sono troppo lontano perché possa importarmene qualcosa. Siamo in movimento da così tanto che è come se fossimo fermi. L'edera è cresciuta forte e rigogliosa tra i cerchioni, lungo le portiere, attorno agli specchietti, arrivando fino al tettuccio. Fortuna che ho montato le lame spesse sia davanti che dietro dice l'Autista con una punta di sadismo negli occhi che riesce a spaventarmi. Le fronde urlano sotto i fendenti dei tergicristalli anteriori e posteriori, mi tappo le orecchie con le mani, non esistono, non esistono, non esistono mi ripeto, funziona. È la strada ad essere accidentata o è il terremoto a scuotere la Rolls? Attraverso il lunotto osservo dieci miliardi di formiche muoversi compatte verso di noi, dai gas urlo, non se lo fa ripetere due volte. Vedo la strada dietro di noi sparire sotto una coltre di puntini neri e sento che l'ora dei bilanci è ormai prossima. Girato l'angolo, un ponte levatoio alzato interrompe la nostra corsa. Oltre, il nulla più totale. Perché siamo qui? Perché ora devi compiere una scelta. Non è più tempo per il dormiveglia, o ti alzi e cammini o ti lasci cadere nel sogno. Io ho fatto quello che ho potuto, da questo momento in poi la palla è in mano tua. Mi guardo intorno spaesato. Credevo sarebbe durato per sempre gli dico, in ogni caso non posso risponderti. Perché? Perché non sono in grado di lasciarmi alle spalle nulla. Io sono il garage dove si ammonticchia tutta la robaccia accumulata nel corso degli anni. Ogni cosa della mia vita esiste nello stesso momento dentro di me, e ciò vale anche per le scelte, ognuna convive in contemporanea con la sua opposta, in un crescendo di schizofrenica incoerenza. Quindi no, mi spiace, non ti so dire da che parte voglio andare. Ma non puoi nemmeno restare qui, non te lo permetteranno. In questo caso allora farò una passeggiata, mi è parso di avere visto un sentiero di montagna un paio di chilometri fa. Per due passi verso casa ne farò uno verso l'ignoto. Quando finalmente sarai arrivato sarà già ora di ripartire. La cosa non mi dispiace.