Il treno è un elementocostituente della mia vita. Ai primi di luglio del 1950 mi porta in colonia a Pietra Ligure: in collina, in una posizione panoramica invidiabile con l’aria colma dell’aroma dei lentischi. Il viaggio fu un’avventura di sette ore con tanto caldo, pochissima acqua e due panini. La lentezza aveva una virtù: anestetizzava temporaneamente il dolore della separazione da casa. Ricordo le interminabili fermate in aperta campagna, più di un’ora di sosta a Genova, l’arrendersi delle assistenti che non riuscivano a gestire un vagone pieno di ragazzini urlanti, i gabinetti ridotti in condizioni intollerabili in pochissimo tempo.
Ancor oggi rivivo con vero patos l’incontro con ilmare.L’emozione fu fortissima. L’esperienza unica e formativa. In me si era creato qualcosa che era mio, soltanto mio. Non dovevo giustificarlo.La mia fantasia poteva intrecciarsi con il mare senza vincoli.
Il treno correva su un tracciato vicino all’acqua e questo mi piaceva. Sporgevo colpevolmente dal finestrino e vivevo una rivelazione. Non potevo esserne cosciente ma ero entrato nel mondo dei sentimenti.Il mare era scoperta, silenziosa e personale. Qualcosa mi suggeriva che a ogni appuntamento si sarebbe rinnovata. Era nato un legame forte e semplice, naturale e istintivo.
Sempre quell’anno, ho avuto un'altra epifania.
Una mattina mi sveglio con un forte dolore all’inguine destro, segnale lampante di appendicite. Sono spedito in infermeria dove mi accoglie una virago che esordisce con un “adesso, ti sistemo io. Così imparate a mangiare le porcherie”.A cosa si riferisse non è dato sapere. Per magia, un clistere, passione invereconda di una certa mentalità in auge in quei tempi, si materializza. Risultato: dopo qualche ora la temperatura sale a oltre trentotto e, per consolarmi, mi danno per cena un’orribile brodaglia fatta con brodo di coniglio. La ricordo ancor oggi per quanto era disgustosa.
Durante la notte mi sveglio e la febbre mi fa fare cose che non avrei altrimenti osato: mi vesto ed esco.
Fuori mi attende quello che non potevo immaginare e di cui nessuno mi aveva parlato: una luna piena, bianca, immensa, silenziosa è sospesa nel cielo. Ero assolutamente impreparato. Tutto scompare, febbre dolore, paura, sete: sono solo in una dimensione che assimilo al sacro.Non avverto la presenza di altri esseri umani. La sua luce si riflette e si moltiplica all’infinito nella sempre diversa acqua di un mare tranquillo. Trasfigura l’anima spalancando l’ingresso a quell’universo di suggestioni che sarà il mio patrimonio segreto. Ai suoi piedi, quasi estraneo come in un metafisico dipinto di De Chirico, c’è il borgo. Non tradisce la presenza degli uomini e le tracce della ferrovia sono ben visibili. Ed ecco arrivare lentamente, da ponente, un treno. E’ rumoroso ma non disturba. Riporta all’umano senza sospendere la sacralità di quel momento. Tutto è adesso conservato in una particolare cassaforte della mia memoria alla voce bellezza. Ho iniziato così il mio cammino verso l’adultità. Sono rientrato a casa quel giorno e sono stato operato d’urgenza.
40 anni dopo quell’evento, una sera di settembre, ero sull’ultimo traghetto che da Lido porta a Tronchetto (VE). Non ero solo. La bruna signora che mi accompagnava era seduta sul ponte scoperto. Ero appoggiato al parapetto ed osservavo le luci della laguna, di Venezia, laggiù sullo sfondo. Non spirava un alito di vento
ma in cielo, immensa e solitaria albergava la luna. La cassaforte si aprì ed il firmamento si divise in due: da un lato c’era quello della mia infanzia, all’opposto quellodel momento. Affrontai il paragone: quelloaveva il carisma del sogno, questo mi diceva di affrontare il contingente.
Dopo un istante arrivò infatti quello che presagivo: “a cosa stai pensando?” fu la domanda che arrivò dalla bruna signora. Non risposi. Sapevo che il mio silenzio era interpretato come un’offesa. Il conflitto era deflagrato; niente poteva fermarlo. Era la naturale fine di una relazione ormai vuota. Avevo le mie due lune che mi consolavano. La mattina dopo salimmo su due treni diversi.
Molti anni dopo un TGV mi portava a 280 km/h alla tomba di mio padre. La ricerca durata una vita si concludeva grazie ad un treno, muto complice dell’inquietudine che mi accompagnava. Avrei potuto scegliere l’aereo ma non ho voluto tradire l’amico che tanta parte ha tra i simboli e i segni della mia esistenza.