Mick era andato a prendersi un paio di bottiglie di vodka e aveva aggiunto alla spesa cose totalmente inutili, pensando di poter nascondere il fatto che era un alcolizzato bell’e finito. Cibo per cani, qualche caramella e una crema mani. 21 euro e 53. Tirò fuori una banconota dal portafogli e cercò le monete giuste tra i centesimi. Uscì dal negozio e si incamminò verso casa. Passò davanti le vetrine nella zona a luci rosse della città. Le ragazze lo salutavano sempre, gli mandavano baci e facevano lascivi segni di andare da loro. Era il loro lavoro, ma nella testa di Mick qualcosa stava prendendo forma, un qualcosa di fetido, una informe massa nera, una mancanza di affetto e amore che aveva bisogno di essere colmata.
Entrò a casa. Si lasciò cadere sul divano, il sacchetto di plastica a terra. Poi si alzò di scatto, aprì una bottiglia di vodka e si fece un bicchiere colmo. Accese la tv, solite stramaledette notizie e stupidi programmi. Continuò a bere, le palpebre si facevano sempre più pesanti.
Merda! Quanto aveva dormito! L’orologio sopra il televisore segnava le 4:03. Si trascinò verso il letto. La sveglia sarebbe suonata alle 6, aveva ancora qualche ora di buon sonno.
“BIIIP BIIP BIP”, 6 in punto. Si trascinò fuori dal letto, si preparò e uscì di casa. Le vetrine ora erano vuote e tristi. Crisalidi, dopo che le farfalle avevano preso il volo. Arrivò di fronte al palazzo che stavano pulendo da settimane. Lavorava in un’impresa di pulizie. “Mick Willems e Apuku Ododo al terzo piano! Avete tutto il corridoio e gli uffici.” Apuku era un grosso omone africano che non parlava una parola di belga. In realtà nessuno parlava un accidenti di belga. Nessuno capiva o diceva niente. Tra tutti quei poveri diavoli solo Mick era nato e cresciuto in quella stramaledetta città e si domandava ancora cosa facesse lì in mezzo a loro.
Lavò, strofinò, lucidò. Tutto il giorno, senza sosta. Poi verso le 16 scese al piano terra. “Ho finito” disse al capo
“Bene… Lei è?”
“Mick. Mick Willems, signore.”
“Bene, Willems, domani non abbiamo bisogno, ci vediamo lunedì sempre qui, alle 6 e mezza, puntuale eh.”
“D’accordo”, disse, e uscì dall’immobile. Era stanco e senza forze, l’unica cosa che lo rendeva felice era che a quell’ora le ragazze stavano già preparandosi dietro le loro vetrine e capitava di vedere qualche gamba, una schiena, il loro dolce viso mentre si pettinavano. Fece la solita strada che costeggiava le rotaie del tram. Svoltò un paio di vie a destra ed ecco la prima vetrina. Troppo formosa, troppo scura, troppo alta, troppo magra, troppo anziana. Mick aveva gusti difficili, però le guardava come se fossero tutte sue possibile ragazze e arrossiva a ogni chiamata o saluto. Non capiva che per loro lui non era niente o al massimo una banconota bipede, come tutti gli altri uomini che si trascinavano mollemente per la via. Tutte queste donne e ragazzine, che dalla strada, dietro quel vetro sembravano dee del sesso, sculture di carne, dai seni lisci e succosi, decadevano ad uno sguardo più attento come cittadelle medievali sotto assedio. Il trucco del prestigiatore veniva svelato. Donne invecchiate troppo in fretta, stanche, che cercavano di darsi un tono di fronte a quelle centinaia di occhi bramanti e insicuri che gli sfilavano davanti. Seni troppo acerbi o troppo molli, cellulite o piccoli sederini non ancora sviluppati, rughe e visini puberali. Con tutti quei presepi a ornare le stanze che infine erano un po’ casa loro. Piccole foto di familiari appese qua e là con vecchi pezzi di scotch di carta, quasi a volersi ricordare perché avevano intrapreso quella strada, tendine ricamate alle finestre che davano sul retro e poi pupazzetti, cuscini, lenzuola consunte, ma ripiegate con amore. Un amore fasullo, un amore cieco, un amore che non va da nessuna parte. Ma poi, quando entrò nella via coperta gli si fermò quasi il cuore e uno strano brivido si mosse dalle spalle e si conficcò nello stomaco.
Lei era là. Mora e minuta. Un bronzo etrusco. La perfezione fatta carne. Mai si era sognato nemmeno di fermarsi a parlarle. Passò lentamente davanti a lei, fissandola, ma poi tolse lo sguardo. Lei invece continuava a fissarlo. Poi uscì. “Ehi, ehi, ciao. Ti va di divertirci un po’ insieme?”
Mick allungò il passo arrossendo, ma quando fu sui tre scalini che terminavano sulla strada principale si fermò. In fondo avrebbe anche solo potuto fermarsi per qualche chiacchera, ma prima aveva bisogno di un drink. Andò nel bar di fronte. “Una vodka tonic, grazie”, la bevve in due lunghe sorsate. Pagò. Ora era pronto. Attraversò la strada e fece i tre gradini. Bene lei era là, in un costume intero nero, che lo aspettava.
“Ehi, sei tornato!”, disse aprendo la porta di vetro. “Ehm.. Ehi.. Sì.. Sai che mi piaci molto.” Gli venne fuori così, di getto. Avrebbe voluto scappare di nuovo, ma era tutto un nervo e non riusciva a muoversi. Iniziò a sudare aspettando la risposta della ragazza. Fece una risatina strozzata. “Anche tu.” e riprese a ridere. “Vuoi venire dentro che giochiamo un po’?”, disse appoggiandogli una mano nell’incavo tra collo e spalla. A Mick stava letteralmente esplodendo il cuore, non riusciva a risponderle. Si limitò a dare due leggeri cenni del capo e fece per entrare. Lei lo baciò sulla guancia e lo prese per mano.
Mick ora aveva delle palpitazioni fortissime, era un pezzo di legno e si muoveva come tale. Nonostante fosse passato per anni per quelle vie era la prima volta che entrava in una di quelle stanze. “Beh che fai lì? Spogliati” le disse facendo poi partire il solito risolino. Mick si svestì meccanicamente. Si sentiva completamente a disagio. “Sono 70 euro, per una cosa classica.” lo svegliò la tipa porgendole la mano. Mick frugò in tasca per cercare il portafoglio. Aveva le mani sudate, gli tremavano ma estrasse i soldi e glieli porse. “Bene ora quando hai finito di spogliarti distenditi sul letto.” Anche lei iniziò a spogliarsi. Aveva un corpo da dea, la pelle liscia e vellutata e sapeva un dolce profumo di fiori rigogliosi. La stanza, ora che lei aveva tirato le tende scure, aveva preso una tonalità rossiccia dovuta al riverbero delle luci al neon. Le si distese accanto e iniziò a percorrere il suo corpo con le lunghe unghie finte delicatamente su e giù, dal petto all’ombelico. Ad ogni andata e ritorno scendeva sempre un po’ di più, fino ad accarezzargli il già turgido membro. Mick era già sull’orlo di sopportazione. Lei si girò verso di lui e gli si mise sopra. Poi scese con la bocca e gli prese il cazzo in bocca lentamente. Andò un paio di volte su e giù poi iniziò a baciargli le cosce mentre con la mano destra gli solleticava i testicoli. Si allungò verso il comodino per prendere un preservativo che stava sotto l’abat-jour.