Quando la conobbi non ero che un bambino. Me ne innamorai all’istante – ne rimasi turbato. Era leggera, pura, silenziosa. Risplendeva come il sole nell’azzurro immacolato di primavera - e con lei attraversavo prati di viole, per poi rotolarci dentro il giallo dorato del grano e, nudi, nuotare nell’acqua innocente del fossato, attiguo alla cascina.
La incontravo all’alba e la tenevo stretta a me, fino quando l’ultimo raggio di sole si defilava stanco dietro la collina del Torrione di pietra.
Con il tempo io cambiai, rapito dai canti suadenti di invitanti seducenti sirene che, a turno, accarezzavano la mia anima con l’intento di rubarne l’essenza. E lei, che mi aveva giurato amore eterno, rimase muta e appartata per lungo tempo. Io non me ne curai, fino quando un giorno, sorprendentemente, cominciò a parlare.
Mi parlò incessantemente e duramente per anni, il giorno e la notte, senza interruzione alcuna, tanto che io, esausto e smarrito, precipitai in uno stato di sconforto e di desolazione tale, da desiderare la morte per porre fine a quell’insostenibile giudizio senza appello.
Ero infelice, stanco, e la solitudine regnava sovrana dentro il mio cuore. Così decisi di ascoltarla, di soppesare ogni sua parola e ragione, motivo e perché, accento e sospiro, e mentre la sua voce si faceva carezzevole, aggraziata e illuminante, io compresi il significato della vita.
Così, tornai ad essere quel bambino di un tempo, gioioso e spensierato, ma con la consapevolezza di quell’amore eterno, che solo Lei mi poteva dare: la mia coscienza.