Un vento più frizzante del solito mi sferza le guance mentre scivolo attraverso le ombre, la bella stagione sta per volgere al termine. Che giorno è oggi? Non ne ho la minima idea, a malapena riesco ad accorgermi dello scorrere del tempo. Da parecchio ho perso il conto delle notti passate a cercare, a braccare, a colpire.
Gianni portò le sue labbra all'altezza del seno di Claudia, mordendolo dolcemente e accarezzandolo con la mano destra, mentre la sinistra armeggiava con la leva del sedile reclinabile.
«Aspetta... no... non credo dovremmo» disse la ragazza, visibilmente agitata.
«E perché no? Credevo che anche tu lo volessi -ribatté lui- ci troviamo in una strada poco illuminata e a quest'ora non passa nessuno, stai tranquilla»
«Non è questo il problema...»
«E allora cosa?» domandò Gianni sempre più irritato da quel comportamento.
«Guarda dove hai posteggiato»
Gianni mise la testa fuori dal finestrino e squadrò la zona da cima a fondo, sforzandosi di trovare qualcosa di strano attraverso la penombra che li avvolgeva.
La serata è avara di soddisfazioni. Faccio sempre più fatica a trovare un bersaglio, segno che il mio operato sta portando a dei risultati. Dovrei esserne contento, invece tutto quello a cui riesco a pensare sono le mie vittime e il piacere che ho tratto dal vederle spirare. Ripenso a quell'avvocato in via San Nicola, a quei ragazzi in Argelati, a quella bionda in via Torino... le mie mani tremano, hanno sete di sangue e non vogliono fermarsi.
«Proprio non capisco... senti, se hai cambiato idea e non lo vuoi più fare basta dirmelo, non è che...»
«Le strisce! Guarda le strisce! Hai messo la macchina sulle strisce gialle!» gli urlò a una spanna dal suo orecchio, con la stizza di chi deve perdere tempo a spiegare un'ovvietà. Gianni la fissò interdetto per un decimo di secondo, quindi realizzò.
«Oh no... ti prego, non dirmi che anche tu ci credi»
«Io... io non lo so, però sono successe cose troppo strane ultimamente, e quelle voci...»
«Oh Gesù» esclamò Gianni alzando gli occhi al cielo e richiudendo la cerniera dei pantaloni, conscio che non ci sarebbe stato verso di distoglierla dai suoi vaneggiamenti su quello che era stato ribattezzatodai media "Il Killer Giallo".
Comincio a correre furiosamente con la bava alla bocca, mi serve un colpevole, ho bisogno di ascoltare le sue suppliche e i suoi gemiti mentre lo punisco per i suoi peccati, ne ho bisogno più dell'aria che un tempo respiravo a pieni polmoni nonostante le polveri sottili e che ora è buona solo a rallentarmi col suo attrito.
"C'è chi dice che sia lo spirito di quel vigile ucciso l'anno scorso, te lo ricordi? Aveva appena multato per divieto di sosta un Suv parcheggiato sulle strisce gialle, quando il proprietario, sopraggiunto proprio in quell'istante, non ci pensò due volte a massacrarlo col crick che teneva in macchina. Da quel giorno, colmo di un odio che gli impedisce di riposare in pace, vaga di notte per le strade di Milano in cerca di un'auto in contravvenzione, e quando la trova attende il ritorno del suo proprietario per ucciderlo brutalmente lacerando le sue carni e ricoprendo la sua faccia di vernice gialla, soffocandolo!»
«Questa è la storia più idiota che abbia mai sentito, ho visto film horror di serie Z costati 100 euro con una trama più credibile di questa!»
«E invece ti converrebbe non prendere sottogamba questa storia, soprattutto se consideriamo le tue abitudini...»
«Abitudini che, ti posso assicurare, non si sono fatte minimamente influenzare da questo mare di balle. Ho fatto del parcheggio selvaggio uno stile di vita sin da quando ho preso la patente, in barba agli ausiliari del traffico, alle telecamere, ai portatori di handicap e alle transenne in via Tortona durante quello stramaledetto salone del mobile. L'unico colore con cui bisogna tracciare le strisce per terra è il bianco, e finché le teste vuote del Comune non lo capiranno io continuerò imperterrito a lasciare la macchina dove più mi aggrada, e stai tranquilla che ci vorrà ben più di una leggenda metropolitana per farmi cambiare idea!»
Finalmente sento qualcosa. Sprazzi di lussuria giovanile poco distanti da me. Mi precipito a controllare. Sono una coppia, stanno litigando. Lentamente i miei occhi perlustrano il parabrezza. Niente contrassegno. Tanto mi basta.
Con un gesto rapido e nervoso, Gianni uscì dalla vettura e cominciò a girarci intorno, come un cane che marca il proprio territorio. La sua voce tuonò arrogante nella notte:
«Killer! Ci sei? Hai sentito? Faccio quello che voglio! Perché non provi a fermarmi?»
Uno dei due scende dalla macchina e comincia a gridare. Mi sta chiamando. Prima di rispondere mi godo per un attimo ancora la sua armatura di arroganza, troppo sottile perché non riesca a vedere tutta la paura che cerca disperatamente di nascondere.
Esco allo scoperto quando la distanza tra noi due è ridotta a un paio di metri, quanto basta per osservare al meglio l'espressione sul suo volto passare dalla sorpresa al terrore in un battito di ciglia, e allo stesso tempo dargli un ragionevole margine d'azione. Odio quando le prede mi semplificano il lavoro non riuscendo più a muoversi per lo spavento causato dal mio aspetto grottesco, ma lui fortunatamente non mi delude e comincia a scappare come se avesse le ali ai piedi. Mi riprometto di contare fino a dieci prima di inseguirlo, ma non faccio in tempo ad arrivare al "tre" che sto già planando sulla sua schiena. Subito dopo averlo atterrato comincio ad affondare i miei artigli dentro di lui, una volta, due volte, tre volte, quattro volte. Lui piange, cerca
di trascinarsi via, ma più si agita e più il sangue zampilla vigoroso dalle ferite, alimentando la mia furia assassina. Quando il mosaico di emorragie che ho composto sul suo corpo mi soddisfa appieno lo immobilizzo e porto la mia faccia a pochi millimetri dalla sua.
Le prime volte provavo una grande rabbia per il disgusto che vedevo negli occhi delle mie vittime quando erano costrette a guardarmi così da vicino senza potersi voltare, ma ora trovo quasi divertente il loro ribrezzo.
Lo stomaco mi si contorce, non riesco più a trattenere i conati, spalanco la bocca e lascio che il liquido fluisca senza freni dalle mie interiora. Lui prova in tutti i modi a raggiungere l'ossigeno attraverso quella melma maleodorante, ma è uno sforzo inutile, ad ogni respiro la vernice penetra sempre di più nei suoi polmoni, asfissiandolo nel giro di un minuto. Lo stringo forte a me nelle sue ultime convulsioni, come in un amplesso. Non faccio in tempo ad assaporare appieno l'orgasmo dell'omicidio che le urla confuse di lei, chiusa a chiave nella macchina, mi ricordano che il mio lavoro non è ancora finito.
Non c'è mai riposo per un tutore della legge, neanche dopo la morte.