- Voi siete sbirro. - disse il vecchio, senza guardarlo in faccia.
- Sono della Polizia. Anche se sono in borghese. - rispose Mimmo, che non la prese come un’offesa. Come avrebbe potuto offendersi con il nonno?
- Voi siete sbirro di quelli veri. - precisò il nonno.
- Sapete qual è la peggiore disgrazia che possa capitare a un padre? - continuò.
- Ma perché dite che sono uno sbirro vero? - mimmo ignorò la domanda.
- Nessun padre dovrebbe seppellire il proprio figlio. -
Sembrava un dialogo tra sordi. Mimmo intuì che doveva lasciarlo parlare, a prescindere da quello che ne avrebbe ricavato.
Il vecchio prese dalla tasca della giacca un pacchetto di Nazionali senza filtro, vi batté di sotto con un dito, dal lato chiuso per fare uscire una sigaretta e la porse a Mimmo che rifiutò con un gesto di diniego. La prese lui e se l’accese affondando il viso nell’incavo delle due mani, quindi alzò il capo e volse lo sguardo verso di lui. L’odore del tabacco bruciato andò ad aggiungersi ai tanti aromi che il nonno emanava, riportando nuovamente indietro nel tempo il giovane. Incastonati in quel volto arso dal tempo, gli occhi neri del vecchio sembravano come quelle finestre con i vetri a specchio in cui da fuori ci si può specchiare mentre chi sta dietro vede tutto senza essere visto.
- Vi ho ascoltato, prima. Siete giovane, ma quelli più vecchi di voi vi ascoltavano e vi hanno dato ragione. Voi siete sbirro vero. -
- E voi, invece, che ne dite? - chiese Mimmo. Sperava di ottenere qualche indicazione utile sull’accaduto.
- Io ho seppellito mio figlio. - disse con gli occhi lucidi.
Dietro il vetro delle finestre a specchio si accese una luce per un attimo, lasciando intravedere qualcosa. Ma fu solo un attimo, il vecchio si asciugò subito gli occhi con un fazzoletto e i vetri tornarono ad essere impenetrabili.
- Se fosse vivo, adesso mio figlio avrebbe quarantanove anni . E’ nato lo stesso giorno in cui mi sono sposato, l’anno dopo. -
Quindi era il compleanno del figlio e l’anniversario del suo matrimonio. Il cinquantesimo, anniversario. Ma la nonna dov’era? Non osava chiedere.
- Voi come vi chiamate, giovanotto? -
- Mimmo, Mimmo Musitano. -
- Io sono Filippo Ranieri, e questa è la mia casa. -
Si alzò in piedi e indicando la porta dietro di lui,invitò Mimmo ad entrare. Entrarono direttamente in cucina. Un tavolo di legno, due sedie con la seduta in corda, un lavandino in pietra grezza con un solo rubinetto. In un angolo un cucinino a due fornelli sopra un tavolino, a fianco la bombola del gas. Uno stipo a quattro ante nell’angolo opposto. Non c’era niente appeso al muro, neanche un calendario. Troppo essenziale, non c’era la mano di una donna. Filippo Ranieri aprì uno sportello dello stipo e tirò fuori un recipiente di metallo e un macinino. Aprì il recipiente, prese un pugno di chicchi di caffè e li mise dentro il macinino. Iniziò a girare la manovella, e qualche secondo dopo le narici di Mimmo riconobbero un altro odore dimenticato.
- Non avete voluto la sigaretta, ma il caffè lo dovete accettare! -
Annuì sorridendo, non poteva rifiutare e comunque ne aveva bisogno, non dormiva da più di 24 ore.
Macinato il caffè, il vecchio lo versò nel filtro della caffettiera, poi riempì la caldaia con l’acqua del rubinetto. Preparò la caffettiera, la mise sul fornello acceso, e si sedette di fronte a Mimmo. Si tolse la birritta dalla testa, poggiandola sul tavolo capovolta e riprese a guardare in viso il giovane da dietro i suoi occhi impenetrabili. Mimmo fissò la sua fronte, adesso scoperta: una serie di profonde rughe, alcune verticali, altre orizzontali la solcavano simili alle gole d’Aspromonte che l’acqua aveva scavato nella roccia scorrendovi per millenni. E forse era proprio così, forse erano state scavate dal sudore che era sceso copioso per tutta la vita da quella fronte.
L’odore del caffè che usciva dal beccuccio della caffettiera fece girare il vecchio. Spense il fuoco, tolse la caffettiera dal fornello e la poggiò sul tavolo, sopra un sottopentola in legno. Aprì un altro sportello dello stipo e prese due tazzine con i piattini in porcellana bianca e oro e una zuccheriera con il bordo ed il manico dorati; da un cassetto prese due cucchiaini d’argento. Poggiò tutto sul tavolo in perfetto ordine e versò il caffè fumante.
Sì, lui era lo sbirro, quello che doveva fare le domande, ma come si fa a fare domande ad un vecchio di età indefinita che ti invita in casa e ti offre il caffè di sua iniziativa? Decise di aspettare. Mentre beveva il caffè, Mimmo notò che lo sportello da cui il vecchio aveva preso le tazzine era ancora aperto. Dietro il servizio da caffè c’erano due portafotografie. Appena ebbe terminato, il vecchio poggiò la tazzina sul tavolo e si alzò bruscamente.
- Aspettate qua! -
(continua)