L’osteria, che dopo cena si riempiva di uomini in cerca in un bicchiere di vino e in una partita a carte di un po’ di ristoro, un po’ di calma, un po’ di serenità dopo una giornata di lavoro (per chi ce l’aveva), si ammutolì quando fecero il loro ingresso quei tipi in uniforme nera con gli stivali e il manganello.
Con la sfrontatezza e l’arroganza di chi sa di essere più forte si erano avvicinati al bancone, avevano ordinato da bere, guardandosi intorno e scrutando ogni singolo avventore, perché sapevano che quello era considerato un covo di sovversivi.
Sarebbe bastata una parola contro il governo o un semplice gesto di stizza verso quel gruppo nero a scatenare una furibonda rissa. E questo volevano: menare coi loro scintillanti manganelli, imporsi a suon di legnate.
Quello e null’altro sapevano fare.
Ma il silenzio perdurava. Nessuno dei presenti si azzardò a muovere un solo muscolo o a dire qualcosa. Le botte comunque vada facevano paura a tutti.
Poi, senza nemmeno aver pagato, perché ormai era diventata un’abitudine, il gruppo nero si avviò verso l’uscita. E proprio in quell’istante tra coloro che stavano giocando a briscola partì un vigoroso rutto.
Il silenzio che aleggiava fu ancora più silenzioso. Il gruppo che stava uscendo si immobilizzò. Ci siamo, pensarono, è l’ora delle manganellate. Ma quello che evidentemente era il capo con uno sguardo alla sua truppa bloccò tutto sul nascere e continuò per la via della porta con il suo codazzo al seguito. Ma quel suono gutturale si era stampato nella sua mente. E anche chi lo aveva emesso.
Uscendo Ermes Zulian li aveva visti. Aspettavano lui facendo finta di niente, chiacchierando e fumando e allora si mise a correre perché sapeva di essere veloce. Si infilò prima in un vicolo poi in un altro. Ma i passi che gli correvano appresso li sentiva terribilmente vicini e si sentì prima invadere dalla paura e in un attimo rabbrividì per il freddo.
Quella paura che credeva di non avere, lui alto un metro e novanta, forte come un toro e che aveva anche tirato di boxe e che la paura manco sapeva cosa fosse.
Tanto freddo. Poi un'ondata di calore partì dalla punta dei piedi, attraversò velocissima le gambe, la pancia, il torace e gli seccò la bocca al punto che la lingua gli sembrò essere diventata di cartone. “Sarà per la corsa”, pensò.
Gocce di sudore cominciarono a scendere dalla fronte infilandosi negli occhi fino a farglieli bruciare. Ma non poteva asciugarseli, non poteva muoversi. Aveva corso come un dannato. Era scappato perché erano troppi e adesso non poteva assolutamente spostarsi da lì. Quasi non voleva neppure respirare tanto il fiato era grosso e pensava che il rumore dell’alito, uscendo, avrebbe tradito il suo nascondiglio.
Sentiva i colpi secchi delle suole degli stivali che battevano sul suolo, il rumore di quei tonfi moltiplicato per chissà quante gambe che correvano infilate come il resto del corpo in quelle divise nere, nere come quella sera di fine agosto senza luna, con lo stemma del teschio sulla visiera dei berretti, i manganelli pronti a colpire chiunque non la pensasse come loro e la voglia di picchiare a qualunque costo.
La voglia di imporsi con la forza, con le botte, contro chi adoperava la ragione.
Li sentiva avvicinarsi sempre più e pregò che passassero oltre, che non si accorgessero di lui schiacciato al buio contro la rientranza di un portone.
Li vide sfilare di corsa, sei, sette o dieci, quanti fossero. Li vide passare e pensò che non lo avevano visto. L’adrenalina che fino a quel momento lo aveva tenuto vigile scemò di colpo lasciandolo in uno stato di stanchezza, di spossatezza mista a strana euforia per avercela fatta.
Ma fu solo un attimo. Solo un pensiero. Nemmeno il tempo di poter credere che era andata, che era salvo.
Mentre lentamente, guardandosi attorno, era pronto a fuggire dalla parte opposta, vide prima la faccia maligna e ghignante di chi gli stava di fronte, anche lui vestito di nero, poi, senza capire come, si ritrovò in terra con le mani sulla pancia come se il contatto di queste potesse lenire il male che stava sentendo dopo la manganellata arrivata con una violenza incontrollata e cattiva.
Ce n’era ancora uno. Uno che aveva perso tempo. Un maledetto ritardatario che si era fermato a pisciare contro un albero che incocciò in lui proprio mentre stava uscendo dal suo nascondiglio.
E un altro ancora che gridò: “E’ qui! Correte!”
Fece solo in tempo a sentire i passi tornare indietro di corsa. Erano in tanti.
Troppi anche per uno come lui alto un metro e novanta, forte come un toro e che aveva anche tirato di boxe e che la paura manco sapeva cosa fosse.
Il labbro che si spaccava sotto un colpo di bastone gli riempì la bocca del sapore dolciastro e caldo del sangue. Il dolore di una o più costole che si incrinavano gli fece sputare quel sangue misto a saliva e aria. Cercò, mettendo le mani sopra alla testa, di attutire il più possibile, ma senza riuscirci, le botte si abbattevano su di lui.
Quando, finite le manganellate, presero a colpire il suo corpo rannicchiato e contorto in terra con i calci, pensò quasi con sollievo che forse quello era l’epilogo. Perché finisce sempre così un pestaggio. Con i calci dati alla cieca che colpiscono dove colpiscono senza un ordine preciso.
Poi li sentì allontanare soddisfatti. Anche per quella sera l’azione punitiva era stata portata a termine. La voglia animalesca di far prevalere la violenza sulla ragione era stata premiata.
Se ne andarono tronfi e felici della loro spavalderia, cantando a squarciagola un motivo che inneggiava al nuovo regime. Una canzone il cui testo aveva sempre odiato, come odiava quei maledetti con quelle maledette camicie nere.
Prima di svenire dal male si diede del coglione per quello stupido rutto e per aver più volte pubblicamente criticato quel regime che non ti faceva pensare con la tua testa.
Ma ci credeva davvero e credeva che uno di un metro e novanta, forte come un toro, che aveva pure tirato di boxe non l’avrebbe toccato nessuno.
Nel 1960 la guerra era ormai un ricordo. E tutti volevano scacciare dalla memoria quell’orrenda esperienza. Non era facile perché c’era chi ancora ne portava addosso i segni. C’era chi non poteva non ricordare e anche violentando i neuroni del proprio cervello, succedeva che la memoria tornava là ai bombardamenti o alle “purghe” o alle botte ricevute ma, comunque, anche date.
Ma bisognava andare avanti. Bisognava ricostruire affinché il tutto non si ripetesse. Bisognava insegnare ai giovani. Tutto cambiava e tutto andava cambiato.
Ermes Zulian, un omone alto un metro e novanta, forte come un toro e che da giovane aveva pure tirato di boxe era al terzo piano di un edificio in costruzione. Faceva il muratore perché quello era il mestiere che aveva imparato fin da ragazzino ed era pure bravo.
Seduto su una pila di mattoni si stava torciando una sigaretta in attesa dell’elettricista che sarebbe arrivato a momenti per segnare le tracce dei cavi. Buttò l’occhio verso l’apertura che sarebbe poi diventata la scala.
Vide prima spuntare la testa poi le spalle poi il busto e infine lo vide tutto mentre saliva dalla rampa a cui ancora mancavano i gradini.
Istintivamente, quando lo ebbe a due metri e lo squadrò bene in faccia, si portò le mani alla pancia che d’improvviso gli fece male. Così come d’improvviso cominciò a sudare, ma non per il caldo.
Davanti si ritrovò un uomo dai lineamenti normali o così sarebbero apparsi a chiunque ma non a Ermes Zulian che in quella faccia vide una vecchia cattiveria.
E anche se qualunque persona al mondo non avrebbe notato nulla di strano in quel viso, lui vide una faccia maligna e ghignante. Le strofe di una canzone odiosa gli rimbombarono nel cervello. Sentì freddo e poi caldo.
Si alzò di scatto come un giocattolo a molla troppo caricato e afferrandolo per i baveri della giacca lo sporse nel vuoto.
Avrebbe potuto mollare la presa e vedere il corpo dell’elettricista cadere giù dal terzo piano e atterrato sentire addirittura il rumore delle sue ossa che si frantumavano. Lo tenne così a mezz’aria come fosse un sacco di sabbia e non faceva nessuno sforzo perché Ermes Zulian era alto un metro e novanta ed era ancora forte come un toro e da giovane aveva pure tirato di boxe.
Anche l’altro lo aveva riconosciuto. Lo aveva capito dai suoi occhi terrorizzati, dal tremito di tutto il suo corpo.
Ermes Zulian lo issò sulla soletta sporca di cemento dove l’altro si rannicchiò contro un pilastro. Ermes Zulian non era un assassino. Era semplicemente un uomo che aveva pagato care le sue idee.
Non era un assassino come chi voleva imporre un’idea con la forza, col manganello, col carcere o addirittura con la morte. Non era un violento che il branco rendeva ancora più violento. No. Non era come loro.
Ci volle un po’ ma poi la ragione prevalse anche se l’odio verso quell’uomo raggomitolato su se stesso, come anni prima si raggomitolò lui maledicendo chi lo stava picchiando, restava.
Ora avrebbe potuto vendicarsi, menare le mani, fargli provare cosa vuol dire prendere tante botte anche se da un uomo solo e non da un manipolo uso a far della violenza una ragione di vita e di soddisfazione.
Ma Ermes Zulian non era un assassino e nemmeno un violento per cui, guardando quella merda (così pensò) che nemmeno aveva il coraggio di alzare gli occhi, che si era tirato su il bavero della giacca quasi a farsene scudo, gli disse solamente e a bassa voce, quasi per cortesia:
“Guardami in faccia, bastardo, guardami bene perché lo so che mi hai riconosciuto come io ho riconosciuto te. E ora vattene, vattene per sempre perché se ti ritrovo un’altra volta, giuro su Dio, che ti ammazzo.”
Poi si voltò verso l’apertura che sarebbe diventata una finestra e finì di torciare la sigaretta.
Quando l’accese si voltò. Non c’era più. Non lo vide mai più.

Tutti i racconti

2
5
24

Call Center

23 November 2024

Call Center Mi sono alzata molto presto anche stamani Il buio sembra ancora più buio, quando fai una cosa che non piace Prendo il solito tram, il numero dieci, sempre pieno a quell’ora mattutina Volti di persone che sembra non dormano da giorni Ma in queste giornate fredde di Inverno, emanano [...]

Tempo di lettura: 1 minuto

1
0
12

La felicità perduta

23 November 2024

Io sono nato in un piccolo borgo della bassa bresciana, in una vecchia cascina circondata da campi di grano e prati fioriti incorniciati da una rete di canali di irrigazione e fossati di acqua incontaminata, dove insetti pattinatori ed eterotteri, scivolavano danzanti sulla superficie. La felicità [...]

Tempo di lettura: 2 minuti

2
5
24

La signora del quinto piano

23 November 2024

Si era inventato un mestiere per arrotondare una pensione sottile come un'acciuga e permettersi qualche fetta di prosciutto in più, magari accompagnata da una mozzarella minuta ma gustosa, con la goccia di latte che scivola verso il piatto simile ad una lacrima salata. Salì sull'utilitaria di sua [...]

Tempo di lettura: 4 minuti

  • Teo Bo: Ciao Walter. Ma come... non ti piace la faccia del mio nipotino? Anche Pata, [...]

  • Lawrence Dryvalley: La Steffilongo procurerà altri lavoretti a Vito, forse non scherzava [...]

3
3
21

I ricordi del becchino : L'uomo delle vespe.

22 November 2024

E’ una caldissima domenica estiva. Sul furgone sto percorrendo le strade di campagna per affiggere i manifesti del caro nonno ‘Tonino’. Il sole picchia, l’asfalto della strada balla per la calura, l’aria condizionata del mezzo è fuori uso. La testa è coronata da perle di sudore. Nonostante tutto [...]

Tempo di lettura: 2 minuti

  • Rubrus: Tra miraggi al sole e apparizioni nella nebbia, un racconto compatto, ben costruito, [...]

  • Lawrence Dryvalley: Bella questa serie "I Ricordi del Becchino"... Letti e like ai due [...]

10
13
82

Il pupazzo di neve

22 November 2024

Devo ammettere che ho fatto un ottimo lavoro. L'ho chiamato Lumiukko, che tradotto dal finlandese significa "pupazzo di neve." Ecco una descrizione veloce e sommaria di cosa mi sono servito per realizzarlo: innanzitutto, la materia prima cioè la neve, i due pomodori di Pachino ne ricreano gli occhi, [...]

Tempo di lettura: 1 minuto

  • Lawrence Dryvalley: Lumiukko mi ha ricordato gli "angeli piangenti" della serie TV Doctor [...]

  • Rubrus: LD: credo che in un episodio il dottore - non ricordo se l'undicesimo [...]

0
2
14

Sono incazzato... 3/3

22 November 2024

A diciassette anni ero seduto al secondo banco del quarto liceo. La matematica è sempre stata la mia passione… non avevo bisogno di studiare la teoria… e soprattutto non ne avevo voglia… teoremi, enunciati, postulati, mi sembravano cose ovvie e banali e non sopportavo di mandare a memoria quel [...]

Tempo di lettura: 3 minuti

  • Dario Mazzolini: bellissimo racconto scritto molto bene al punto di essere diventato il tuo [...]

  • zeroassoluto: Scusate, ma nelle prime due parti, ho dovute modificare di recente alcuni nomi [...]

1
6
20

A38

Una mattina alle poste

22 November 2024

Uno dei luoghi più noiosi della terra suppongo che sia lo spazio dedicato agli uffici postali della mia piccola cittadina. Frustrato da una multa ricevuta poche ore prima mi avviavo, sconsolato, verso quel pezzetto di mondo in cui qualcuno sistematicamente sfoga ansie, rabbia e risentimento nei [...]

Tempo di lettura: 2 minuti

  • Teo Bo: Grazie Law per il benvenuto e per esserti divertito leggendomi. Aspetto tuoi [...]

  • Lawrence Dryvalley: Grazie a te in anticipo per l'interesse ai miei testi, li trovi elencati [...]

3
3
22

La fermata

21 November 2024

Siamo sette alla fermata, è umido ma i saluti fioccano. Siamo un gruppetto abitudinario nel quale Crocefissa spicca. Guarda le moldave, le russe e le africane con distacco. Se non avessi giurato sui miei figli di tacere le spiegherei che la fermata è il punto dove i mezzi pubblici stradali si [...]

Tempo di lettura: 2 minuti

  • Ellissa: la vita è un continuo ricercare un' equilibrio tra noi e gli altri. [...]

  • U1657: Santa crocifissa!!!

2
3
19

Egregio Sig.Ictus

21 November 2024

Ex alza il viso dal piatto al ristorante e la vita è cambiata in un solo istante. Il suo viso è una ridicola maschera tanto che immediatamente penso stia facendo lo sciocco, la ragione non vuole vedere l’abisso che mi aspetta se solo lasciassi entrare i pensieri logici. Poi tutto precipita. Capisco. [...]

Tempo di lettura: 1 minuto

  • Vally: Grazie Dario.
    Buona giornata

  • Adribel: Mi sono venuti i brividi ma penso che il sig. Ictus sia un ver0 signore, determinato [...]

3
7
24

Le mollette

21 November 2024

Ho sempre odiato stendere i panni. Sempre. Lo faccio solo perché mi piacciono le mollette. Ho mollette sparse per casa e spesso ancora attaccate a lenzuola, pantaloni e camicie che ritiro e piego in modo rapido e ripongo in luoghi riparati e sicuri chiamati armadi. A volte indosso i miei vestiti [...]

Tempo di lettura: 1 minuto

  • Ecate: Ellissa, sorella mia, testo a quattro mani

  • U1705: In effetti capita che gli asini volino!

2
10
15

Racconto ln breve la schiavitù dal cellulare

Le persone sono portate a schiavizzarsi.

21 November 2024

È già da tempo che le persone non ragionano con la propria testa, ma con la testa degli altri. Cioè di quelli che manipolano gli individui per portarli a raggiungere gli scopi che si sono prefissati, e la gente crede che tutto si svolge nell'interesse e nel bene dell'umanità- (Praticamente schiavizzarsi [...]

Tempo di lettura: 1 minuto

  • L’esilioDiRumba: Molti ragazzi di oggi riescono, ancora più di quelli ddella mia generazione [...]

  • Gennarino: L’esilioDiRumba: Grazie per aver letto e commentato. Bisogna educarli [...]

6
13
24

Il caffè col babbo

20 November 2024

È uno dei miei ricordi più belli. A prima vista può sembrare banale ma non lo è. Avevo preso l'abitudine, a metà mattina, di bere il caffè col papà. Ovunque mi trovassi per noi era un'appuntamento fisso. Se potevo andavo a casa dei miei, altrimenti lo bevevo con lui a distanza: dai clienti se ero [...]

Tempo di lettura: 1 minuto

  • Lawrence Dryvalley: Ciao Dario, ho letto questo e le ultime tue proposte anche se non ho commentato. [...]

  • Dario Mazzolini: grazie Lorenzo. Ti leggo sempre volentieri pure io. Grazie ancora per il tempo [...]

Torna su