Sogni. Ti svegli. Ricomponevi un mazzo di fiori, ciascun fiore era diviso a metà per il lungo. Alcuni fiori li scartavi, altri li mettevi da parte, cercavi di farne un bel mazzetto.
Un'anatra è volata sopra di te. Con le zampe teneva le zampe di un cane bianco, il cane bianco a testa in giù. Passando sopra la cinta in ferro di un terroso campetto da calcio l'anatra ha lasciato andare il cane. Il cane è precipitato da un'altezza di sette otto metri, mancando i terminali aguzzi dell'inferriata è caduto sull'asfalto. Si è subito rialzato. Era scosso, impaurito, aggressivo.
Un secondo cane compare vicino al cane bianco. Subito ringhiano, s'azzuffano. Il secondo cane morde il cane bianco alla collottola, il cane bianco cerca di districarsi dalla presa, trascina il secondo cane che non molla, il cane bianco salta sul muretto che si alterna ai tratti di cinta in ferro, il secondo cane non molla, anzi, trascinato dal cane bianco riesce anche lui a salire sul muretto. Il cane bianco ormai è sopraffatto, si apre una ferita nel suo manto. “Si è aperto sopra” urla qualcuno accanto a te. Il cane bianco per sfuggire arretra sul muretto, il muretto gli manca sotto le zampe posteriori, scivola sull'inferiata. “Si è aperto anche sotto” urla qualcuno accanto a te.
Ti svegli. Hai sognato.
Non sono nemmeno le due di notte. C'è silenzio. C'è caldo. Notti estive in città. Le prime sorprendono, succhiano il sonno. Ti proiettano in una dimensione di iperattività impotente.
Le finestre sono aperte sulla strada, sei tentato di uscire, senza meta, come tanti. Avessi un cane, adesso sì, pur di uscire lo sveglieresti a forza e lo porteresti a pisciare. Resti a letto, sudi, il lenzuolo sotto appiccica, allontani il cuscino, sudi. Giù in strada si ferma il furgone della nettezza urbana, svuotano i cestini. Quell'attività rumorosa dura un minuto scarso ma ha la potenza di una industria a regime. Loro lavorano. Beati. Se ne stanno in giro. Vivono questa notte che chiede, implora di essere vissuta nonostante il tuo ragionevole, ostinato rifiuto.
Dove puoi andare? Il furgone riparte. Anche tu hai lavorato di notte, un'estate molti anni fa. Per tirare su quattro soldi per le vacanze avevi scelto così, distribuire quotidiani agli abbonati. Saranno state tre settimane. Salivi con l'auto per la rampa di accesso al capannone, entravi a imbustare le consegne. Centocinquanta, duecento al massimo, c'era chi ne faceva anche mille. Una dozzina di persone in tutto. Prima ecco il tabulato, i giri divisi per zone, per te una parte di Rho, Vanzago, Pregnana, qualche palazzo, molte villette, molti lanci, strade di quasi campagna, odori di notti d'estate, quegli odori che un po' senti anche adesso.
“Io lavoro per la Honda” ti aveva detto il tuo vicino di banco. Imbustavate, scambiavate qualche battuta, ma tutti andavano più svelti che potevano.
Lavora per la Honda e di notte viene qui a
distribuire giornali, avevi pensato. Avevi avuto l'avventatezza di chiederglieli di più.
“Ma no, per la Honda Civic, la macchina, voglio comprarla”. Di giorno, ma solo al pomeriggio faceva il massaggiatore. Tu ti svegliavi attorno alle due, sfogliavi Corriere e Gazzetta che prendevi dalle copie omaggio, studiavi un po'.
Esami facili quell'estate. Chimica la studiavi da dieci anni, quell'altro non lo ricordi più.
Nel tardo pomeriggio uscivi, l'asfalto e i muri scottavano. Non c'erano né Mondiali né Europei, peccato.
Dopo cena cazzeggiavi un po' con la tv. Alle undici di nuovo fuori, raggiungevi la compagnia. Alle due salutavi, andavi verso la zona industriale, salivi la rampa di accesso al capannone, l'unico illuminato, posteggiavi la Rover 213 di tuo padre. Tabulato. Imbustare. Caricare. E via. E soldi subito, a fine settimana. Contanti, un conto in banca nemmeno l'avevi. Tanto a copia. Per questo c'era chi ne faceva un migliaio. A te quelle bastavano. Tutto sommato eri un affare per il capo, ti smazzavi le zone periferiche, quelle che erano solo una perdita di tempo. Per le cinque eri a casa.
Non è mai successo niente in quei giri. Qualche volta ti davano da consegnare anche delle copie omaggio, era qualche soldo in più e ti facevi i palazzi della tua zona da cima a fondo. Avevi grossi mazzi di chiavi per entrare. Se incontravi qualcuno regalavi, Gazzetta o Corriere, ti bastava per essere contento.
Allora nemmeno fumavi. Una volta i Carabinieri ti hanno puntato il faro e sono venuti a controllare. Eri entrato contromano in una via, stavi davanti a una villetta. Hai regalato anche a loro e ti hanno salutato. Sanno tutto di quello che succede di notte.
Ti piaceva quando alla radio passava quel pezzo di cui adesso non ricordi più il titolo. Non lo passavano spesso, quando succedeva era un momento speciale. Adesso non lo passano più, nemmeno d'estate quando passano di tutto, quando il passato torna a riempire il tempo che si dilata. Era un pezzo molto notturno, almeno per te era così. Era carico.
Sempre coi finestrini abbassati. Sempre con gli occhi aperti, ma non è mai successo niente. Solo una notte, svoltando a qualche centinaia di metri da casa ti sei trovato davanti un gregge di pecore, guidato dai cani, un pastore. La transumanza. Ti sei fermato pensando se mettere la retro. Hai spento il motore, spento le luci, hai guardato il gregge avvicinarsi lentamente al muso della Rover, l'hai visto aprirsi come acqua che scorre attorno a una roccia in mezzo al torrente, solo tutto molto rallentato, rallentato a tempo dei belati e nonostante tutto fosse come impigliato in un elastico il gregge è passato oltre, in coda c'erano gli agnellini, un secondo cane, la strada sgombra davanti.
Non erano calde quelle notti. Erano invitanti. Era come lavorare minuto dopo minuto dando la forma a un pezzo d'artigianato, sempre la stessa sequenza di strade, di palazzi, di case, di porte, sempre lo stesso ampio gesto che dava una forma, modellava qualcosa, non sai cosa, di certo qualcosa, qualcosa di immateriale e di fantastico.
Adesso sono quasi le quattro. Anche un uccello è sveglio, canta da un albero della caserma. Sembra stia parlando al telefono quando ancora tutta la casa dorme. Forse l'aria è un po' più fresca. Ti giri e senti il sudore accumulato nella cavità dietro i ginocchi.