Filippo era esasperato.
Possibile che i suoi contemporanei fossero così ottusi? Così vuoti, così incapaci di ragionare?
Possibile che continuassero a nascondersi dietro a degli enormi volumi che sapevano a memoria, quando bastava usare un po' il cervello?
Voleva prendere fiato per un attimo, così approfittò del momento di tregua per chiudere gli occhi.
Oh, quale magnifica visione poté osservare! Quale stupendo paesaggio riusciva a vedere!
Vedeva il cielo, con le sue nuvole e gli uccelli che svolazzavano liberi su e giù; poi saliva su, sempre più su, rompeva le sfere di cristallo, corrompeva l'etere, ed era una piccola e solitaria nota stonata nella musica dei cieli, che usciva dalla sua gabbia e correva fuori; ed eccola, la luna, finalmente vista da così vicino! Con i suoi monti, fiumi, laghi, colline, mari, piante, animali, persino uomini... com'erano simili, eppur diversi, da quelli a cui era abituato! E poi si librava ancora più su, con la forza del ragionamento bucava il cielo, e come le comete attraversava lo spazio infinito; e poi, da lassù, osservava i pianeti, li studiava mentre passavano davanti a lui, indifferenti alle sue preoccupazioni e a quelle degli uomini sulla terra... e poi volava, volava, saliva su, tornava giù, voltava a destra e a sinistra, guardando ogni singola stella, osservandola mentre brillava e mentre riluceva di tanti colori, riflettendoli in tutto l'universo, mentre si avvicinava ad altre stelle, si univa a loro e ballava a ritmo della musica dell'amore... ed eccolo, infine, il sole! Grande, enorme, una gigantesca palla di fuoco che bruciava, che brillava, in cui la vita riluceva di splendore e di magnificenza; e tutti i pianeti gli giravano intorno, come fedeli servitori al loro signore, e lui magnanimo a ognuno assegnava un luogo dove stare, un posto in cui situarsi e splendere nella sua singolare e unica bellezza, e a tutti donava la luce, il calore.
E poi, librandosi ancora più su, ancora più lontano, altre stelle, altri pianeti, altri soli, altre orbite, altri uomini che, con la ragione, potevano guardarsi negli occhi, capirsi a vicenda. Tutto si estendeva fino a dove l'occhio poteva vedere e anche di più, e tutto era uguale e diverso a se stesso, tutto si assomigliava differenziandosi. Era l'infinito, l'universo infinito, creato da un Dio infinito, fatto di infiniti mondi, da amare infinitamente... e a lui bastava la ragione per accedervi! Gli bastava chiudere gli occhi e tutto vedeva, e gli sembrava di viaggiare per lo spazio, tra le stelle, tra i pianeti...
Era un miracolo, un autentico miracolo, e lui, lui solo era l'eletto... lui solo lo sapeva, lui solo poteva vederlo, grazie unicamente alla sua ragione! Agli altri servivano libri da imparare a memoria, di cui nemmeno capivano l'intero e autentico significato, e lui chiudeva gli occhi e poteva vedere tutto l'universo nascosto sotto le sue palpebre.
Era un privilegio, ne era convinto.
Qualcosa che lui avrebbe volentieri condiviso con tutta l'umanità, se gli fosse stato permesso.
Purtroppo, però, non era così.
E lui, in quell'esatto momento, stava pagando per questo.
Riaprì gli occhi e fissò quelli affilati del cardinale.
"Vi domandiamo per l'ultima volta", cominciò beffardo lui, "se, per la salvezza della vostra anima, siete pronto ad abiurare le otto opinioni eretiche che abbiamo trovato nei vostri libri e negli atti del processo".
"Io sono prontissimo a ravvedermi", ribatté Filippo, sicuro, "ma soltanto per quel che riguarda la fede, perché non sono affatto disposto a cambiare le mie opinioni sull'universo".
"Sono eretiche anche quelle opinioni, perché sono contrarie alla Bibbia".
"Quelle idee riguardano la scienza, non la religione. Secondo me ognuno deve essere libero delle proprie opinioni".
"Purché esse siano conformi alla nostra fede. Seguire gli insegnamenti della santa Chiesa, obbedirle: questa è la vera libertà. Fuori dalla Chiesa vi è il caos e la perdizione. Il mio consiglio paterno è quello di abiurare con umiltà".
Ecco. Si era arrivati al punto di non ritorno.
Filippo fece un respiro profondo.
"Resto della mia idea".
"Provate a riflettere ancora un momento, prima che sia letta la sentenza", mormorò Bellarmino. "È una sentenza grave".
"Credo che pronuncerete la sentenza contro di me con maggior timore di quanto ne proverò io nell'ascoltarla".
Cadde un silenzio assordante per qualche secondo.
In quel momento esatto, Filippo ebbe la certezza che sarebbe stato ricordato per sempre. E quello, per quanto lo riguardava, valeva da solo di più di mille roghi e censure dell'Inquisizione.
NdA: il dialogo è tratto dalla sceneggiatura del film Galileo di Liliana Cavani, e il punto di vista della storia è di Giordano Bruno. Ho cercato il più possibile di attenermi a ciò che si pensava allora sull'universo e a ciò che pensava o avrebbe potuto pensare Giordano Bruno, ma molto probabilmente ci saranno degli errori.