Si riposa, da più di duemila anni circa, in Giappone, un antico signore della natura: un Ciliegio che, come un padre, sorveglia i suoi figli e ne custodisce i passaggi di vita.
Ho sempre pensato che gli alberi fossero padri, uomini forti, saldi nella terra e ho, sempre, visto loro come custodi della natura, figure maschili di guerrieri in difesa, dispensori di sicurezza.
Da bambina mi trastullavo ai piedi di un grande ulivo nelle campagne dei miei nonni paterni e parlavo con lui, giocavo e provavo ad abbracciarlo come una piccola oliva di figlia, date le mie dimensioni di "Folletta biondina" col naso all'insù.
Curiosa di tutto, frugavo tra i suoi rami più bassi, nelle tasche del suo mantello di legno, tra le pieghe dei suoi pantaloni, mentre lui mi raccontava una storia aiutato dal vento.
Qualche piccolo passero sostava, lieto, sulle sue fronde e accompagnava con il suo canto i miei sogni.
Cosa farò padre albero? Cosa porterò con me, tra foglie e germogli, in vigore e fine della mia vita? Cosa farò da grande?
Con la testa rivolta a esso, più in alto dell'alto, una briciola umana io un gigante maestoso e signore esso, rimanevo ad attendere una sua risposta.
Ecco. Oggi ho rivisto il mio albero padre in quell'immortale Ciliegio giapponese, saggio dio di un mondo ordinario: la libertà di essere, ancora, una figlia che deve imparare dalla vita.