Le parole tagliavano l'aria che si frapponeva tra loro, quasi a voler annullare quello che avevano vissuto, quello che i loro corpi, i loro respiri, le loro gambe, in quell'intreccio di anime, avevano visto, preso e fatto proprio quasi fossero un'unica cosa.
“Stai zitto, cazzo” disse “a stento sopporto il rumore del tuo respiro.”
E lo ripeté, quasi il suo animo non fosse capace di pensare ad altro.
Lui, solo, incredulo, inerme, intrappolato in quel vortice di parole che occludevano i suoi pensieri, non sapeva cosa dire, cosa pensare.
Gli occhi che fissavano il suo volto incredulo segnavano il limite tra loro due ed il mondo che aveva cessato di esistere.
Il vuoto attorno.
“Ma...” sputò lui.
Neanche il tempo di studiare una reazione, il tempo che il pensiero costruisse una risposta sensata e lei si ritrasse.
Lo sguardo lasciava intravedere la voglia di non tornare indietro.
Lo stipo della cucina era lì, dentro era sepolta in quieto ordine. La prese e la puntò verso l'amante di una vita ed in un sordo silenzio: “BOOM” disse.
Il cuore di lui si fermò.
“Non ho le palle” disse lei scoppiando in una risata che rasentava la follia. La voce suonava distaccata, perentoria. La voce di chi sa che è finita.
Lui inerme. Non capiva, non poteva capire come fossero arrivati al capolinea.
Lei guardò il tamburo della 9 millimetri, straripante di morte in pillole. Lo tirò a sé e nella notte cambiò mira. Non la testa. Pausa. Non lo stomaco. Pausa. Pausa.
Capì in quel momento che era il suo respiro a non poter più essere ascoltato, se non per un’ultima volta, ansimante e implorante perdono per quello che non aveva saputo prendere e dare.
Puntò alla gola. “BOOM”. Questa volta fu la pistola.
Era un uomo bello e forte, e beveva, e nella disperazione, quando questa lo coglieva, beveva ancora di più.
Si diceva di lui che fosse saltato fuori da un romanzo di Hemingway.
Era un pittore. Tratteggiava gli animi e li colorava con le emozioni.
Era bravo.
*
Brandì l’arma.
*
*
Li contò. Quattrocentoventinove, i minuti che passò intrappolato tra le mura della città vecchia, tra luci barcollanti, saracinesche abbassate e silenzi che invadevano l’anima e fiumi di alcol e, ancora, orde di vecchi clochard che il sorriso avevano lasciato lungo el camino.
Cáceres sapeva dare riparo a queste anime e consiglio a chi ne avesse fatto richiesta, ma quella notte, sorda, come il tuono emesso allo scattare del grilletto, impassibile, come la voce di Penèlope, non accolse il suo sconforto, ignorò le sue urla. Cáceres sapeva essere bastarda.
Tornò in quella casa, in quella cucina. Il corpo seminudo a terra.
Il viso gonfio e sporco di vita che se ne era andata. Rigidi i muscoli, la rendevano statuaria. Una carezza, un bacio.
"BOOM” sentenziò la pistola. Fu l’addio ad una vita che sapeva di poco.
“E come è meglio morire nel periodo felice della giovinezza non ancora disillusa, andarsene in un bagliore di luce, che avere il corpo consunto e vecchio e le illusioni disperse.”
E. Hemingway