"Non ti ho potuto allattare, mi era venuta una mastite, che dolore..."
Ahah, preso nota. Altro compleanno, altro giro "mi ricordo, ero così contenta di aver avuto una bambina. Ma non ti ho potuto allattare, per colpa della mastite, sapessi che male."
Di nuovo, l'anno successivo e via via gli altri. Ho capito eh mamma, sì, la mastite.
Io non vorrei fare troppo la piagnona, c'è stato, c'è e ci sarà di peggio della mia infanzia, in giro però chi se ne frega, io parlo di me, è sempre un "sono stata" perché noi persone mai adulte si ragiona così: io io io io.
Sono stata:
una bocca in più da sfamare, subito, una brutta sorpresa di sesso femminile dopo nove mesi, mostriciattolo affamato da allattare, quindi mastite-rifugio, l'imbarazzo di una bambina maschio sempre a fare Zorro o Tarzan o Sandokan, una spina nel fianco a ricordare gli errori commessi. Sempre.
Perciò non sono adulta, sono ancora quel mostriciattolo che è diventato grande, mostro.
La prova che impongo è di darmi certezza d'amore sempre, anche quando non sembri volerne, anzi, proprio perché lo voglio e ne ho bisogno e ti vorrei distruggere. Quel bisogno che vedo negli occhi degli altri è anche il mio; da odiare. È l'odio per il mio bisogno. E poi, oggi mi chiedi "mi ami?" e rispondo sì, ma domani sarà no, non sono sicura, voglio garanzie, voglio la carta bollata, ciò che nessuno può dare, madre per prima.
Vai via adesso, ti mando via (non andare), ti libero (lasciami libera, ma rimani per quando tornerò), la tua vita sarà migliore senza di me (spero che tu soffra) e non dire che mi ami perché non ti crederò mai.
Hai voglia a dire che si guarisce, non è vero: borderline è per sempre. Come aver perso una gamba o un braccio, le protesi non saranno mai all'altezza della carne. E sapere che tutto questo avviene, ormai provato, nei primi trenta mesi di vita ti porta a odiarla, la tua vita. È sfiga pura, è nascere con un difetto congenito al cuore, una vena nel cervello pronta a scoppiare da un momento all'altro e via andare...
"Non vorrai paragonare questo alla tragedia di nascere con malattie vere, con disabilità vere!". Questa è una disabilità, credetelo. Posso camminare, lavorare (sempre meno), viaggiare, uscire, giocare, ridere, posso tutto, addirittura per qualche ora o un paio di giorni. Poi torna il bisogno della prova e se l'altro non lo raccoglie al volo e non lo soddisfa, ecco che diventa uno zero, un niente, non all'altezza, una delusione, fino a diventare una gabbia dalla quale devo fuggire, un ostacolo tra me e la prossima persona che dirà di amarmi e io potrò mettere alla prova.
Vorrei dirvi di starmi lontano, vorrei crescere e non sentire il bisogno o sentirlo e sopravvivergli vivendo l'amore, ma non ci riesco. È una disabilità del vivere acquisita.
E scrivo per sfogare, uso chi legge quanto un esibizionista userebbe un guardone, sono il tizio con l'impermeabile.
Atti osceni in luogo pubblico, quando la pulsione non conosce vergogna.
...
Lo strano caso del dottor Jeckyll e del signor Hyde, di' che mi ami e diverró Hyde.
Questi son corsi e ricorsi impressionanti nei tempi.
O forse no: hai un pensiero, un'intuizione, o hai trovato le parole che prima non avevi e le puoi pensare.
Poi le vedi ovunque, spiccano di colori accesi e diversi quando le guardi, si collegano come sei preparato adesso, adesso, a collegarle, quando prima collegavi altre parole e altri pensieri in modo altro.
E ti senti, diventi, più intelligente, senza limiti perché sai che questo vedere e collegare parole accese come neuroni esterni a te lo farai sempre, sempre di più, sempre meglio, vorresti che non finisse mai questa scarica che pare cocaina buona, realtà aumentata, attività cerebrale in 1000K, altro che 4, ne vorresti ancora.
Ma non sai gestire l'impulso che segue ogni scarica emotiva. Amore? "Oddio... forse è amore?"
E tutto si blocca, le sinapsi giuste si spengono, i neuroni disposti per bene si ritrovano senza luce, quelli della solita vecchia mappatura si accendono e torni a sentirti tonta, lenta, inetta, non sai amare.
È roba da elettricisti, si tratta di evitare un incendio limitando il cortocircuito, è roba da guanti e scarpe isolanti e paradenti.
Che qualcuno ti tenga la testa, ti faccia la rcp, ti protegga mentre sei senza conoscenza...
Ma non ti fidi.
L'abito non fa l'elettricista così come una uniforme bianca non fa l'infermiere.
Resta senza sensi tra te e te, non puoi lasciare la tua testa abbandonata tra mani sconosciute, a occhi chiusi, non puoi.
Ri-mani, resta, riposa fra le mani la testa.
E quella canzone di Battisti che ogni tanto rientra in circolo...