Agazio, ‘45 anni, scapolo, saldatore professionista di origine calabrese migrato in Piemonte, aveva da poco perso il lavoro.
Consapevole di potere contare sulla sua forza di volontà e di sapersi adattare alle contingenze del momento, non si perse d’animo e diede corso ad una lunga ed estenuante ricerca di una nuova occupazione.
I mesi volavano! I continui e sistematici rifiuti cominciavano a fare scricchiolare le sue speranze, al punto da costringerlo ad accettare lavoretti di qualsiasi tipo, che niente avevano a che vedere con la sua specializzazione.
Era proprietario di un piccolo appartamento ubicato alla periferia di Torino, rilevato con un mutuo bancario non ancora del tutto estino. Gli restavano 7 rate da ‘600 euro l’una che in quella inattesa condizione non era in grado di onorare. Lo stesso problema lo aveva con la sua piccola utilitaria da poco acquistata.
Era in un bel casino! I soldi racimolati qua e là erano appena sufficienti alla sua sopravvivenza materiale e al pagamento delle bollette.
Smise così di fumare e ridusse all’essenziale ogni consumo energetico, idrico e spesa non strettamente indispensabile. Rinunciò a riscaldarsi, all’acqua calda, standosene completamente al buio della cucina, riverso sul piccolo tavolo di truciolato rosso.
Gli venne alla mente di quel braciere che la madre usava per creare tepore nella stanza da letto, e di un blocco di sale avvolto in un panno per assorbirne l’umidità.
Trasferì così il letto in cucina, e di una grossa e vecchia pentola ne fece un caldano.
Raccattava pezzi di legna ovunque: cassette della frutta, resti di mobili al margine di cassonetti, e presto poté contare su una riserva di legna che gli avrebbe consentito di superare il gelido inverno nordico. Si inventò un piccolo lume a olio che gli permetteva di leggere e appuntare certi pensieri, dei quali prima di allora non conosceva l’esistenza.
Si… si sentiva profondamente solo, impotente difronte a una realtà che non aveva mai considerato né potuto minimamente immaginare; assolutamente certo che il “diritto” fosse la pietra angolare sulla quale si regge un paese civile, libero e democratico. E per tanto non c’era nulla di che preoccuparsi! Ma così non era. Questa tardiva presa di coscienza fu un colpo duro per il nostro Agazio, che di colpo dovette rivedere da capo e riconsiderare tutte le sue convinzioni, umane e politiche.
Superò presto la vergogna di doversi recare alla mensa della Caritas, per approfittare così di un piatto caldo, confortato dall’amicizia di chi condivideva con lui la sua stessa tragica condizione. E meravigliandosi di quanti fossero.
Presto il complotto architettato contro Agazio da parte dello “Stato” cominciò a mostrarsi in tutta la sua crudeltà e con un accanimento degno del peggiore aguzzino nazista.
Il suo sconforto cresceva giorno dopo giorno, proporzionalmente al numero di ingiunzioni, intimidazioni e minacce che i vari enti pubblici e privati gli inviavano senza sosta.
Non bastava più risparmiare fino all’osso, quando poi, oltre al consumo reale di luce, acqua e gas (che si limitava alla cifra irrisoria di qualche euro), doveva sommare le estorsive quote fisse; quel vitalizio incomprensibile che ogni cittadino deve versare a questa gang di filibustieri per rimanere in vita. A tutto questo si aggiungeva la tassa sui rifiuti che in realtà non produceva e, di seguito, quella sulla casa, il bollo auto, l’assicurazione e la revisione di quella piccola autovettura che aveva abbandonato al suo destino nei pressi del cimitero dove riposava quello zio Raffaele che da ragazzo lo aveva accolto nella sua casa e trovato per lui un lavoro che riteneva sicuro e ben remunerato.
Nel frattempo Equitalia aveva posto un’ipoteca sulla sua abitazione, che con il tempo sarebbe andata all’asta, mentre la macchina gli fu bloccata.
Presto lo sconforto di Agazio mutò in uno stato depressivo allarmante, tanto che aveva confidato a Mario (un piccolo ex imprenditore conosciuto alla Caritas al quale era stata sequestrata l’azienda) di volere farla finita.
Quel buon amico lo dissuase da un tale intendimento, imprimendogli la forza di trasformare il suo dolore in rabbia positiva. “Sarebbe una sconfitta per tutti noi” gli urlava Mario negli orecchi… e che sarebbe stato veramente troppo dare una tale soddisfazione ai suoi carnefici.
Quel giorno Agazio si diresse verso casa con passo deciso, e un sarcastico sguardo di sfida infiammava i suoi grandi occhi neri.
Giunto a destinazione si diresse verso la buca lettere che strabordava di cartacce minatorie e pubblicità. L’agguantò con tutta la forza che aveva in corpo sradicandola letteralmente dalla parete di forati intonacati a calce, per poi seppellirla dentro un cassonetto maleodorante con tutto il suo lercio contenuto. Poi, salito in casa, accatastò al centro della cucina tutto l‘arredamento contenuto in quelle tre piccole stanze e, senza un attimo di esitazione, gli diede fuoco. Così, chiuse lentamente la porta dietro di sé e scese le scale saltellando, visibilmente soddisfatto della sua “impresa”.
Raggiunse la stazione di Torino, e con il ricavato della vendita di una catenina d’oro con pendaglio in corallo rosso, acquistò un biglietto per fare ritorno alla sua terra nativa. Ricaricò il telefono, prese un pacchetto di sigarette, e si accomodò al tavolo di un bar per consumare una birra, in attesa della partenza di quel treno che finalmente lo avrebbe portato verso la libertà. I suoi genitori erano vivi entrambi, in buona salute, e lo aspettavano a braccia aperte!
Agazio si sentiva un altro! Era cambiato: carico, pieno di speranze, felice come mai prima d’allora, pronto ad affrontare ogni avversità; certo che una nuova vita si stava aprendo all’orizzonte del suo futuro.
Durante il lungo viaggio entrò in confidenza con un tipo simpatico che gli stava difronte, e con grande leggerezza e ironia gli raccontò la sua disavventura, innescando risate, iperbole e battute dissacranti in tutto il racconto, sottolineandone la grottesca trama e l’assurdità.
Il tempo trascorse velocemente e la fermata successiva era quella di Agazio. Fra i due ci fu un abbraccio commovente, come due vecchi amici che si staccano dopo avere trascorso insieme una giovinezza sorprendente. Si scambiarono nomi e numero di cellulare, dato, che fino a quel momento era stato tale il piacere della discussione da avere rimandato ogni tipo di formalità alla fine.
Giovanni era il nome del “tipo difronte”, e due fermate dopo, scese.
Oggi Agazio è alla soglia dei sessant’anni, porta avanti una piccola fattoria in provincia di Cosenza donatagli dal padre, dove tutta la produzione ortofrutticola è rigorosamente biologica. Produce inoltre del buon vino, olio extravergine d’oliva e alleva pollame a terra. Ha una compagna venezuelana di nome Jolie che gli ha dato due figli maschi, belli come pochi.
Si.. è felice.. molto felice! Basta guardarlo, e vedere con quanta passione e cura tratta le sue piante - lo stesso amore che ha per i suoi figli e per la dolce Jolie.
Come lo so? Lo sono andato a trovare alcuni mesi fa!
Io sono Giovanni.