"Tu sei fragile"
Lo hai ripetuto quante volte? Quando non riesci a fermare le mie parole, quando la seduzione non funziona, quando il sesso non attacca mi dici che sono fragile o stanca; ne riparleremo, ora no, ora sei stanca anche tu, domani o tra due giorni... Non funziona più, l'avrai capito. Dopo due giri sulla stessa giostra, i cavallini colorati che mi ruotano attorno sono tutti riconoscibili e il percorso non cambia.
Non mi puoi convincere, io non sono fragile.
Sono sopravvissuta a madre, padre, fratello, zie, cugine, lutti, maghe vigliacche, casalinghe disperate, morose mute come pesci, morose bisognose, continue richieste sessuali e pazze furiose in modalità stalker.
Sono sopravvissuta al disturbo borderline di personalità... non mi sono suicidata, non ho dipendenze da alcol o da stupefacenti, neppure da psicofarmaci visto che li prendo terapeuticamente per pochi mesi all'anno (per natale, certo, come chi ha avuto una polmonite si protegge dalle correnti d'aria), ho superato l'autolesionismo e l'autodistruttività, non ho mai smesso di lavorare, di vivere in modo dignitoso tra panni e piatti puliti, mi pago da me la psicoterapia da dieci anni, non ho debiti e ho un discreto gruzzolo di risparmi, vivo sola da tredici anni, ho un gatto e un cane, suono due strumenti e canto come poche persone sanno fare, ho superpoteri di seduzione e mi piacciono certi giochi, ma non sono crudele; la vita non mi ha incattivito il cuore, non desidero più morire e neppure l'ho mai desiderato davvero, ho bisogno d'amore forse più di quanto vorrei ma non scendo a compromessi per averne. Ho qualche debolezza leggera a cui mi abbandono con gli amici, cene e discorsi da bar compresi negli aperitivi. L'unico mio vero bisogno è quello di raccontarmi; per lasciare qualcosa di me, per non andar perduta nella fossa comune con umani comuni. Perché io non sono un essere umano comune e chi mi ha incontrato se ne è bene accorto. Quel che leggendomi si dovrebbe cogliere è soprattutto che non sono una vittima ma una sopravvissuta...
Ti ho dato fiducia, ho scoperto il fianco, ho appoggiato la testa sul tuo petto e succhiato dai tuoi seni senza pensare alle braccia strette che avevo attorno. Sveglia ma abbandonata.
Ho chiesto solo una cosa, che tu non mi facessi del male apposta... ma mi hai colpita a tradimento proprio in quel momento sospeso, con la mia preziosa testa stretta al tuo petto; hai confuso l'abbandono della passione con la vita, con me intera, e hai affondato una lama. Che bisogno avevi di farlo? Eravamo su un altro piano, nulla di triviale, niente marciapiede, niente conti in comune, galleggiavo e galleggiavi a mezz'aria, eppure non hai esitato, hai bucato il palloncino che ci sosteneva.
"Ah, Regina di Lothian, Morgause, che cos'hai fatto..."
Per ogni magia ce n'è una più forte o che almeno l'annulli, gli esseri fatati sono oggetto di desiderio, l'unicorno è magico e chi ne incontra uno, lo vuole.
"Chi cazzo è, questa? e guarda cosa scrive, come lo scrive, non vuole legami, solo sesso e solo come vuole lei, chi è... la voglio."
Mica sei la prima ad averlo pensato, hai solo attuato un piano strategico diverso dalle altre, niente attacco diretto ma aggiramento, una rete molto molto grande e quasi (quasi, bada) invisibile. E ci sei arrivata, a me. No, sei arrivata a "quella"; la me che si vede da fuori, quella che non chiede ma fa contratti, una da stancare, catturare, piegare, imprigionare. Poi si vedrà cosa farne.
Esatto: quella dietro al nickname misteriosissimo. Hai commesso il grave errore di non indagare, su quel nickname ma è un errore piccolo se paragonato a quelli successivi.
"Quella" si è rivelata essere un unicorno; bellissimo, magico, sfuggente, ribelle, desiderabile, da uccidere per assimilarne i poteri e indossarne la testa come un trofeo, il trofeo. Mi sono sentita in trappola, mi hai ferita e ho sanguinato, ti sei bagnata del mio sangue senza vergogna, già gustando il trionfo... senza sapere che ti avrebbe lasciato addosso una macchia indelebile e la maledizione che colpisce coloro che osano tanto. Questo unicorno non muore, si libera e fugge, sei in ginocchio e condannata, adesso. Non lo avevi previsto, il prezzo del maleficio. Cosa dirti, ora... che non hai letto abbastanza, non hai visto abbastanza, non respiri le parole che vedi e i toni che senti, non ti attraversano i venti e le acque, non hai mai bevuto i filtri amari e il sangue, non eri pronta ad alcuno dei sacrifici che ogni incantesimo chiede in cambio a chi ne crea... Sei in ginocchio, adesso; l'unicorno ti è sfuggito, la perdita è indicibile, incalcolabile, la senti con disperazione anche se non la cogli con il pensiero.
Tu, soffri. Non basta. Ora devi fare ammenda, devi chiedere il perdono delle creature magiche e di quelle umane per il tuo peccato, devi piegarti volontariamente. E forse e chissà quando nel tempo, potrai rivederlo, l'unicorno. Lontano, luminoso nei raggi di sole che tagliano il silenzio ombroso del bosco, per un breve momento. Forse ti vedrà, forse no, non potrai fare altro che sentire di nuovo la bramosia crescerti nel petto e ricordare la punizione subita. Cadrai di nuovo sulle ginocchia, piangendo la sua apparizione, le tue lacrime come unici segni del perdono raggiunto.
Un autentico unicorno, restando nel mondo fatato, di tutte queste costruzioni non sa nulla e neppure gli fregherebbe saperne, gli importa solo di girare libero nella foresta incantata mentre porta benedizioni e fortuna a coloro che lo intravedono senza disturbarlo. È l'unicorno che ho dentro, va lasciato libero e intatto, si lascia perfino avvicinare, è una creatura del bene. Tutto ciò che lo protegge, invece, non esiterebbe a tagliarvi le mani e la testa; infatti.