Indossa una maglia comoda e i pantaloncini di un pigiama estivo, metti su Anima Latina di Battisti, indossa le cuffie.
Il cane è in giardino, il gatto dorme, hai fatto la pipì, tieni una bottiglia d'acqua accanto al divano, stenditi e chiudi gli occhi, premi "on" sul telecomando e lasciati portare via dalla macchina del tempo di un vecchio disco.
"Se tu confondi i mondi: amore e proprietà, tu perdi me..."
Lucio sta cantando "Macchina del tempo", l'ho ripescata istintivamente mossa forse dal peso che mi schiaccia il petto, il testo è perfetto per questo mio momento tanto aperto, vulnerabile, senza pelle, polmoni e cuore esposti.
Ho raccolto e riposto con fame e desiderio e con cura nomi e cose, la mia mente li richiama quando ho bisogno di aiuto, io ho tutto, dentro di me. Non funziona più tanto male, questo mio cervello. Forse non ha mai veramente funzionato male, mi ha sempre protetto, in fondo. Lui mi ha portato altrove mentre gli orchi abitavano la casa, lui mi ha tenuto all'oscuro per il tempo necessario a crescere, lui ha fatto la guardia sempre e non smette mai di farlo.
"Ed io voglio mai perdere nessuno e nessuno che perda mai me." Un pezzo non facile, un album complesso, musicalità piena e dilatata con lunghe fasi strumentali che parlano e raccontano di quel che accade fra una parte e l'altra del testo, Lucio è... canta in abbandono di sé, come in un sogno, come dopo un amplesso, come in un viaggio nel tempo, passato e futuro in visioni, odori e sapori che racconta nel presente a una amante tra lenzuola migrate fuori dal letto e dolce stanchezza...
E mi manca di nuovo, come se fosse ancora, quel momento di dolce stanchezza fra le sue braccia, coi pensieri a mezz'aria in osmosi coi ricordi e le immagini di un futuro, il corpo pago, la pace, tutto in sincrono, senza vibrazioni lasciate suonare in sottofondo a disturbare, io che ho bisogno di fermare le corde con la mano quando ripongo la chitarra nella custodia perché so che le vibrazioni continuerebbero... mentre vivo.
"Alzati in punta di piedi, appoggiati contro di me.
Fra un anno io vado a scuola.
Dopo mi sposo con te."
Cerco di ascoltare il pezzo successivo, provo a tornare ragazzina, con le vecchie Sennheiser alle orecchie, i capelli lunghi e la piastra Marantz dietro alla testa, nel letto della cameretta tra colonne di Topolino e i poster dei miei eroi musicali appesi tutti attorno, la mia cuccia perfetta. Ma non ci riesco. Io ne sono capace, io so viaggiare nel tempo, indietro e avanti, raggiungo luoghi e mappe di allora e i mondi nuovi del domani, mappe neurali, mappe sensoriali, lo so fare, lo so fare, posso fuggire quando voglio... perché, perché mi sono lasciata fare questo? Quanto tempo dovrà passare prima ch'io torni ad essere il viaggiatore che ero? Tolgo le cuffie, le lacrime ci finiranno dentro, guardo il soffitto, gambe e braccia spalancate, il ventilatore che ronza piano, il cane abbaia, passa un motorino, la morsa nel petto e nella gola e so che dovrei lasciarlo uscire quel lamento che sento salire, dovrei aprire la morsa dei denti e liberarlo perché diventi un urlo. Vorrei tanto. Se lo faccio spaventerò i miei animali, se lo faccio, i vicini lo sentiranno. Se lo faccio, se urlo... dopo sentirò il suono del vuoto. E ho paura del vuoto.
Dovrò imparare di nuovo come si ascolta. Ma ora non posso.