Il vento soffia impetuoso, un vento caldo africano. Le chiome degli alberi sembrano pennellare il cielo di un azzurro intenso.
Dal pontile della nave, proveniente da Napoli, una donna guarda l'attracco. Ha nel viso i segni del tempo e un fazzoletto di seta rossa le raccoglie i capelli ancora biondi. Conosce questo paesaggio, l'ha vissuto qualche tempo fa quando, giovane e bella, abitava in una villa dalle mura bianche come il latte, attorniate da un giardino ricco di profumi mediterranei, aranci, mandarini, limoni. In questa piccola isola d'oro aveva cresciuto i suoi figl, i suoi due figli, avuti dalla relazione con Saro, costruttore isolano, tutto soldi e potere. L'impero che avevano costruito era un'oasi di ricchezza in mezzo alla desolazione di una campagna assolata. Aveva vissuto con tutta la sua sensualità i colori e gli odori di questa terra. Ora ritornava dal Nord, dal freddo nord, dove si era stabilita qualche anno prima. La notizia di sua suocera, venuta meno per anzianità, era arrivata all'improvviso, ma lei aveva lasciato tutto, perchè quella donna non era stata solo la madre di suo marito, ma la sua "mamma", sempre pronta a consolare, una madre pronta sempre a incitare nei momenti difficili, sempre presente nei marosi e nelle tempeste della vita della sua famiglia.
Ora su quel battello Carmela rivedeva le scene di un passato che ormai non c'era più. La sua famiglia felice, le sue figlie, suo marito. Già, suo marito, il figlio di quella donna speciale che ora era distesa su una ballata di marmo nell'obitorio del nosocomio cittadino. Sfortunata anche in questo, perché qui si vorrebbe tutti morire a casa, nel proprio letto, ma Angelina non ce l'aveva fatta! Era rimasta nel freddo ospedale, da sola, in mezzo a chi tentava di salvarla e non era riuscito a compiere il miracolo. Forse per lei era arrivato il giorno, che diceva sempre dal dolore della disgrazia, di rincontrare suo figlio. Saro, suo figlio, il marito della donna che era andata via perché non ce l'aveva fatto a rimanere in quel luogo così crudele.
Nella sua mente come in un film, fotogramma per fotogramma, rivede il teatro rianimarsi, risente anche il dolore di quel giorno, le scene strazianti di chi aveva sperato di poter essere al centro di un rinnovamento e che si trovava coinvolta in prima persona, con il marito ucciso a tradimento, perché si era ribellato a una logica di sopraffazione, a una gramigna che, lentamente, a poco a poco aveva infestato il suo campo, a una criminalità che pretendeva i suoi guadagni, sempre più numerosi, per ottenere una protezione dalla loro violenza costruita ad hoc.
Suo marito era lì, su quell'asfalto rovente in un'estate infuocata, con il suo sangue riverso, quel sangue cha aveva sentito scorre nelle sue vene, che animava il suo cuore d'oro, con i suoi progetti annullati, frantumati tutti in quel giorno dalla pistola di un killer senza volto.
Scesa a terra prese il primo taxi: - A Villa Sofia - fece senza neanche guardare il conducente, immersa ancora nei suoi pensieri.
I ricordi sono sempre una sensazione che rende tristi perché sono legati al passato e quindi ripropongono episodi della vita belli e brutti con tutta l'irruenza della loro crudeltà. Il bel passato comporta rimpianti e nostalgie, che rendono tristi e melanconici. Gli episodi traumatici riaccendono paure, ansie e trepidazioni, che portano alla disperazione. Respirando l'aria di questa città, rivedendo i suoi monumenti, le lapidi appese ai muri, rivedendo le auto della polizia, dei carabinieri, i barellieri del 118, sentendo le sirene dei mezzi di soccorso immersi normalmente nel traffico cittadino, Carmela riviveva i giorni del dramma, quando la sua famiglia fu distrutta dalla barbara violenza del gruppo malavitoso che offriva sicurezza in cambio di soldi.
Il suo pensiero ritornò ai due figli ormai grandi, sposati, ognuno immerso in questo tessuto cittadino, annullati dalla quotidianità di altre occupazioni, in quartieri diversi da dove abitavano prima, silenziosi, votati a dimenticare la cicatrice che rimaneva nel loro animo e che il tempo aveva cloroformizzato, ma non guarita e cancellata.
La macchina andava lentamente nel traffico e dal finestrino vedeva le strade, le facce degli uomini e delle donne, dei ragazzi, come i suoi ragazzi un tempo. Tante persone s'intrecciavano nei percorsi, chi andava, chi veniva, in via Libertà, via Ruggero Settimo, via Maqueda. Era uno slalom continuo nel gioco degli acquisti, alla ricerca dell'affare. Pochi minuti ancora e sarebbero arrivati a destinazione. Angelina, anche lei ora non c'era più. Una donna che era diventata di legno come un albero d'ulivo prima forte e flessibile, ma con il passare del tempo e degli eventi sempre più secco, quasi inanimato. Eppure era sempre presente quando qualcuno o qualcuna chiedeva il suo conforto. Quante volte i suoi nipoti era accorsi dalla nonna e la nonna aveva risolto i loro problemi. Ora non c'era più. Rimaneva in quel freddo marmo tra fiori, sussurri e addetti alle pompe funebri che organizzavano il suo funerale. Altro dramma della vita.
Ricordando tutto ciò Carmela non si accorse che il taxi era arrivato e che il conducente leggeva il tassametro. Allora l' autista, un signore sulla cinquantina avanzata, scese dalla vettura e con fare signorile le aprì la porta. Il rumore dello sportello riportò Carmela alla realtà e chiese quanto doveva. Risolto il suo debito con il gentiluomo autista, si incamminò a piedi verso l'obitorio dell'ospedale, vicino all'area di emergenza, fra sirene spigate di autoambulanze in arrivo è un formicolio di persone che erano lì, in quel posto.