Nelle ore più calde della giornata, quando tutti sono ritirati nelle loro case, nel dedalo delle viuzze di Bellavista quel giovanotto ritorna un po’ bambino, perdendosi più volte nei vicoli mentre con gioia e spensieratezza, per slarghi e stradine, scale, scalette e gradonate egli rincorre quei gatti che alla controra sembrano essere gli unici abitanti del borgo. Quasi tutti, oltre che magrissimi sono neri, anzi nerissimi, come a contrastare quel dominante biancore. Sbucano da tutte le parti, e come appaiono, così spariscono.
Due o tre gatti passeggiano alteri sul bordo dei gradoni come se sfilassero sulla tastiera di un clavicembalo o di un pianoforte. E, un po’ avanzando con andatura sinuosa i maschi e ancheggianti le gatte, un po’ arretrando frettolosamente, ne sfiorano con leggerezza i tasti, poi li premono ora con dolcezza ora con forza, saltandoci su con tutto il proprio peso, creando in maniera del tutto casuale note che un compositore patito di quei felini, amati o odiati senza mezze misure, potrebbe elaborare in forma compiuta come un’immaginifica Fuga del gatto, una sonatina o altro ancora.
Terminata quella passeggiata, tutti arretrano per lasciare spazio a una coppia che avanza a passi felpati sulle zampe posteriori, quasi danzassero. Lei è insolitamente tutta bianca e quasi invisibile fra tutto il biancore del borgo, se non avesse quegli enormi occhi uno giallo e l’altro blu, mentre lui è nero, di un nero più lucente degli altri. Le zampe anteriori hanno la punta bianca, come dei guanti, le zampe posteriori sono tutte bianche fin sopra a un ipotetico ginocchio, come il Gatto con gli stivali. Entrambi sono talmente presi da un innamoramento improvviso che nella loro calma frenetica non si accorgono, come talvolta accade ai gatti, di nulla e di nessuno. I due sempre più innamorati un po’ fusano e un po’ giocano elegantemente ad azzuffarsi, per poi allontanarsi e riavvicinarsi strusciando vicendevolmente le loro teste, come se, accompagnati da miagolii orchestrali ora melodiosi ora “a strappo”, quasi in dissonanza, eseguissero con naturalezza passi di danza classica piuttosto elaborati, per poi di scatto correre assieme, miagolanti e felici, ad appartarsi in un posticino che conoscono solo loro.
Nel frattempo, non si sa da dove, preceduta da inconfondibili e dissonanti miagoli, sbuca maestosa e tutta sola un’altra gatta anch’essa in amore, ma stavolta tutta nera con gli occhi di un incredibile verde smeraldo, che s’intrufola fra le gambe di Ottavio appena s’è accovacciato per accarezzarla, strusciandosi a lui, attorcigliandogli la lunga coda a una caviglia, facendo le fusa, miagolando e rivolgendosi al giovane con tono implorante, come per sollecitargli un aiuto. Lui, di fronte a quella gattina che continua a strusciarsi è sconcertato. Tenta di risponderle con parole sue, come se stessero eseguendo un duetto mozartiano, con il maritino che a ogni suo invito con paroline amorose si sente rispondere dalla mogliettina, sempre e continuamente, con altrettanti e amorosi: – “Miau, miau, miau, miau” –. Finché entrambi, moglie e marito, come stregati, non si dicono uno con l’altra che dei: – “Miau, miau”, – “Miau, miau”–.
I gatti più audaci e dispettosi aspettano al varco Ottavio negli angoli di quel dedalo intricato e intrigante. Lo rincorrono con gli occhi spiritati e di fronte quel giocherellone che gattona sui gradoni gli si drizza il pelo, piantano gli artigli, gli soffiano arcuando la schiena e, come si dice, “fanno la gobba” verso di lui. Tutti scompaiono quando su quell’improvvisato palcoscenico senza sipario fa la sua uscita, da autentica primadonna del gorgheggio, un’altra gatta, questa volta una soriana, che lo magnetizza immediatamente, avviando con lui, ormai quasi mutato in un felino, una sorta di Duetto buffo di due gatti, che sembra uno scherzo rossiniano, un’arietta composta su un solo verso, ovviamente “Miao”.
Ormai il giovane è trascinato in un surreale dialogo canoro, a botta e risposta, e a base di soli: – “Miao!”, e “Miao! Miaooo!”, e ancora “Miaooo!”, poi “Miauuu!”, e infine “Miauuu!”. Tutto preso da questo strano e surreale innamoramento, rimane davvero male quando, apparso sulla gradonata che fa da palcoscenico, discende lentamente un gattone bianco, dal pelo a mezza lunghezza e dagli occhi magnetici, e stavolta è il maschio ad averne uno blu e l’altro giallo, che indubbiamente lei attendeva. Lui le rivolge tre ruggenti: – “Miao!”, “Miaooo!” e “Miauuu!”, tre miagolii che ne dichiarano con certezza le intenzioni e che non ammettono discussioni, e lei lesta, dopo un rapido ma intenso scambio di sguardi, gli si accosta ormai incurante dell’umano, per appartarsi col felino, il suo vero innamorato. Intanto, finita la controra i gatti, disturbati dal passaggio delle persone, a poco a poco si rintanano nei loro nascondigli.
Come in un finale intimista, avvicinandosi ormai la sera, e presto anche la notte, arriva tutto solo un micione dall’aspetto saggio, neanche a dirlo tutto nero, che al buio non spiccherà per contrasto cromatico sulla bianca Bellavista. Tuttavia la luce dei suoi occhi, l’andamento della sua camminata e l’annunciata complicità di uno spicchio di luna gli conferiranno una visibilità e un’autorevolezza che ispira fiducia. Il giovane vorrebbe chiedergli un consiglio ma lui attraverso un cancello chiuso sparisce in un lampo. Nell’orticello di là dal cancello un bambino lo tranquillizza.
- Non ti preoccupare, stanotte Micio Nero uscirà un’altra volta, è fatto così, preferisce gli incontri notturni. Aspettalo fino a notte se vuoi parlarci, dicono tutti che elargisce validi consigli! -
Ottavio ringrazia quel piccolo, vorrebbe attendere il micione, farsi consigliare dalla sua saggezza, ma non può, l’indomani mattina sarà di partenza da casa di Prosdocimo e deve ancora preparare i bagagli, e quindi a malincuore si avvia.
Su quel palcoscenico immaginario, su una scena urbana che di per sé regala sempre sorprese, durante quel magnifico gioco con tutta la popolazione felina di Bellavista accorsa come a una festa, quei gatti fra sorprese, agguati, innamoramenti, tradimenti e abbandoni, Ottavio ha provato quel grande senso di libertà e sensazioni gioiose che riescono ad apprezzare compiutamente solo i veri “gattari”.
E, come può accadere con i gatti, d’improvviso si accorge di essere rimasto solo. Chi s’è infilato fra le grate di finestrelle a raso terra, chi fra le sbarre dei cancelli, chi nei pertugi di portoni e portoncini predisposti per farli passare.