Era una corda o una catena, un paio di metri, una ciotola con poca acqua e gli avanzi degli avanzi dalla cucina. Sì, è vero, una volta ogni tanto gli facevi fare un giro, scodinzolava lo stesso tanto ne aveva bisogno, si illudeva che gli volessi bene e che l'avresti fatto uscire anche il giorno dopo e quelli a venire.
Ma non era così, il giro era un'abitudine, una volta alla settimana, giusto per andare in piazza per il caffè e le chiacchiere al bar con gli amici. E guai a lui se osava tirare al gunzaglio o cercare di annusare gli altri cani. Era subito uno strattone, un richiamo silenzioso carico di mille parole: sta fermo, dove credi di andare, stupido cane, che palle, stai al tuo posto, comando io, etc etc. Però, ai cani dei tuoi amici facevi complimenti e carezze e davi anche qualche prelibatezza da aperitivo.
E lui ti guardava, paura e colpa negli occhi, senza capire il motivo del richiamo o della punizione e sperando di ricevere un bocconcino a sua volta (a volte lo avresti picchiato ma non in pubblico; in pubblico bastavano silenzio e strattoni) e comunque lui scodava. Senza allegria, non come quando si scodinzola; si scoda come per chiedere scusa e fare una domanda: mi vuoi bene? L'avevi addomesticato, gli davi un po' di acqua e di cibo, un po' d'amore sarebbe stato troppo, un po' di te. Troppo.
Giorno dopo giorno, legato, senza neppure chiedere una carezza perché veniva sempre negata se non era la giornata buona, ti guardava con la speranza che pulsava nel petto. Anzi, il rischio era di ricevere un calcio...
Quel giorno, il misero giro al bar, tornasti e lo legasti ma accorciando troppo la corda, eri arrabbiato o annoiato, non gli lasciasti neppure un po' d'acqua nella ciotola anche se avevi notato ch'era finita. E andasti a dormire.
Lui faticava perfino a stare accucciato, tanto era corta la corda, aveva sete e poi, bello... le immagini degli altri cani, al bar, accarezzati, vezzeggiati e premiati... "bello, bravo, tieni, guarda, prosciutto, ti piace, eh? Bravo cane." Altre carezze. E iniziò a pensare. Sì, pensare (non credevi che ne fosse capace, eh?). Pensare di andare a cercarli, quegli altri padroni e i loro cani fortunati e chiedere un po' d'amore, una carezza, un premietto... una corsa nel prato, come quei due cani fortunati che vide dal finestrino della tua auto quando, felicità, lo andasti a prendere al canile per portartelo a casa.
Questa corda corta e la sete e i cani fortunati e la voglia di correre... prima a piccoli morsi poi con più decisione, la corda si sfilacciava, la corda si rompeva. Libero. Il cancello della proprietà aperto, tu dormiente, lui libero... via! Col naso incollato a terra, la traccia sull'asfalto della strada, quasi di corsa fino al bar e poi le tracce dei cani fortunati, eccole! Di corsa da loro, sulla traccia più profumata, una scia luminosa sulla strada buia, sempre più veloce ed eccola! La chiesa illuminata della cuccia di un cane fortunato, la casa piena di calore del suo padrone amorevole, eccola, di corsa, entra.
Beve dalla sua ciotola, miracolosamente viene accolto, il buon padrone esce da casa, ha sentito i guaiti di gioco, "e tu? Cosa ci fai qui? Bello, vieni bello, vieni." Carezze! Carezze... che belle... sono così, quelle vere, allora... e i grattini, l'acqua fresca, una ciotola di pappa fresca e ancora carezze.
Si addormenta accanto al cane fortunato, la sua nuova e unica amica, si addormenta senza una corda al collo.
La mattina, arrivi tu, il tuo amico del bar ti ha chiamato e arrivi, arrabbiato per la scocciatura della telefonata e per doverti muovere da casa e andare a riprendere il tuo cane. Ti avvicini con la corda in mano, lui arretra, non scodinzola e neppure scoda, arretra, non vuole farsi legare, non vuole tornare a casa con te, non ti vuole! Tu ti avvicini di più, lo costringi al muro della casa e allunghi la mano con la corda. Lui ti morde. Un morso deciso, senza ringhio di preavviso, un morso che aveva trattenuto per chissà quanto tempo, un morso senza ritorno.
Non lo rivedrai mai più, non tornerà al tuo cancello e alla tua corda, non vorrà neppure una ciotola di acqua in un pomeriggio di luglio da te; lui, con te, ha chiuso.
Torni al solito bar, ogni mattina adesso, lui non c'è, non viene là con il buon padrone e la sua amica, resta nella sua nuova casa accogliente e sicura, non correrà il rischio di incontrarti, di vederti ancora. Sta bene dove sta, con chi sta, sta meglio senza di te. Ora, forse, senti che un po' ti manca. Ma è troppo tardi.
Il segno del morso ti è rimasto, ogni tanto prude, si arrossa. A volte senti ancora male.