Concluso lo spoglio, quella nostra fragorosa e liberatoria risata collettiva la scontammo.
Eravamo talmente impegnati in quel delicato lavoro da non dare peso al felpato allontanamento di uno dei “rappresentanti di lista”. Un bisogno fisiologico? Un bacetto alla fidanzata che era venuta a prenderlo? O a controllarlo? Come presidente del seggio, minimizzai la cosa – del resto la sua presenza non era né necessaria né obbligatoria – cogliendo appena un’espressione vagamente preoccupata, nello sguardo del Segretario del seggio. Un giovane precario nominato dal sottoscritto, nell’esercizio di una prerogativa spettante al Presidente.
Quando lo vedemmo di ritorno, spalleggiato, come mi spiegarono, dal segretario della sezione di zona, dell’onnipotente – allora – Partito-Chiesa e anche di più, fu chiaro che non si era recato in bagno, né a sbaciucchiarsi con la sua bella.
«È lui», disse al nuovo venuto indicandomi con gesto teatrale, «Eccolo, il nemico del nostro grande Partito, l’avversario dei compagni e della classe operaia!». E alle sue spalle il segretario della sezione, a sua volta spalleggiato dal direttivo al completo e da altri attivisti, lanciava verso di me occhiatacce tutt’altro che rassicuranti.
«Sei tu?», mi si rivolse con il tu senza che io gli avessi dato in alcun modo troppa confidenza, «Sei tu che vuoi annientare il Partito dei lavoratori?».
Questa volta non fu solo il piantone ad affacciarsi sulla soglia, ma nell’aula entrò, messo in allarme dal giovane segretario del seggio che l’aveva avvertito con discrezione, un gruppetto di militari.
«Che cosa succede?», chiesero. «Nulla di speciale. Oltre ad annullare la scheda per il consiglio comunale farcita di salame, ho annullato anche una scheda per il collegio uninominale della provincia».
«Come ti sei permesso?», ululò il segretario del Partito.
«Nessun abuso, stia calma!». Poi gli spiegai ciò che non conosceva, o faceva finta di non sapere. «Per il collegio uninominale non ci sono le preferenze come al Consiglio comunale, ma c’è un solo candidato, il cui nome è già stampato sulla scheda, accanto al simbolo di partito, quindi, basta una croce, sul simbolo oppure sul nome.».
«E dai, quanto sei complicato!», continuava proseguendo a darmi del tu. «Veda, si possono tollerare due crocette, ma questo ignoto elettore, dopo aver apposto la croce sul simbolo…». «Allora, qual è il problema, quel voto è “nostro” e va conteggiato.». «Neanche per sogno, perché dopo la croce sul simbolo, l’elettore ha cancellato ripetutamente con la matita copiativa il nome del candidato, infierendo con forza e ostinazione sulla scheda fino a perforarla orizzontalmente. Guardi qua, dove c’era scritto quel nome ha creato come un’asola».
«Evidentemente lo odia!», si affrettò a commentare con voce acidula una scrutatrice, una tipa da sacrestia. Non fece in tempo a continuare che si profilò sulla porta la figura di un dirigente di federazione, poi il segretario provinciale, e quando fu solennemente annunciato: «Arriva qualcuno da “Botteghe Oscure”!», io mi affrettai a firmare il verbale e a imbustare tutto il materiale per procedere alle consegne.
Intanto si era fatto giorno inoltrato, ringraziai e salutai i componenti del seggio e i militari, e uscendo incrociai il Pezzo Grosso del Bottegone che mi sibilò con voce tagliente: «Te lo scordi di rifare il Presidente, né qui a Roma, né in tutt’Italia!».
Gli risposi con un sorriso sarcastico, ben sapendo che così sarebbe avvenuto.