Guardando quel corpo nudo dolcemente e mollemente adagiato sul letto con il ventre che si alzava e abbassava impercettibilmente ad ogni regolare respiro di chi si è abbandonato ad un sonno lieve dopo aver a lungo provato il piacere che solo far l’amore può dare, pensò che anche stavolta avevano commesso peccato.
Pensò con assoluta razionalità che non avrebbe mai dovuto e potuto appartenere a quella donna.
Pensò con assoluto sentimento e amore che quella donna comunque ora era in lui.
E sarebbe stato molto difficile lasciarla.
Ancora una volta avevano ceduto. Ancora una volta non erano stati capaci a dire di no. E non che non ne avessero mai parlato, anzi, più di una volta avevano cercato di guardare e analizzare la cruda realtà che non contemplava, a rigor di logica, quella relazione, quel legame che avrebbe dovuto essere impossibile e che però non lo era.
Più di una volta si erano detti che sarebbe stato il caso di smettere di frequentarsi e di limitare i loro incontri ai soli scopi ufficiali.
Ma sempre avevano rimandato di volta in volta quella decisione.
E avevano continuato a peccare
E quindi loro, morigerati, timorati di Dio, credenti, cattolici praticanti continuavano a peccare consci che troncare avrebbe fatto loro ancora più male.
La voglia di trovarsi avvinghiati nudi su un letto dove far l’amore o più semplicemente stare vicini, potersi sfiorare e baciare lontano (sia chiaro) da sguardi indiscreti, era più forte di ogni cosa. E questo era diventato uno scoglio insormontabile.
Loro, che sapevano perfettamente che qualora quella relazione fosse stata di pubblico dominio, che sapevano che sarebbe bastato in quel piccolo paese un pettegolezzo, una frase detta e non detta, un sospetto qualsiasi, uno sguardo indagatore e maldicente per scatenare uno scandalo che li avrebbe travolti infangandoli, mettendoli alla gogna, loro, nonostante tutto, continuavano, pur consapevoli di ciò, a vedersi e ad amarsi.
Nel segreto più assoluto e con tutte le precauzioni che ciò comportava.
Si erano conosciuti mesi prima ad un incontro voluto dalla parrocchia per discutere sull’andamento dell’oratorio e dell’asilo.
Maria Clotilde, giunta da altro luogo, in quell’occasione era stata presentata ai presenti a quella riunione quale nuova direttrice dell’asilo in sostituzione di colei che lo era stata per decenni e che, per motivi anagrafici, non poteva più badare ai piccoli ospiti.
Faccia pulita, buona cultura e modi garbati, aveva immediatamente trovato il plauso dei genitori dei bambini che videro in lei una figura sicuramente adatta allo scopo. E anche Alberto che di figli non ne aveva rimase affascinato da quella ragazza.
A dire il vero più che altro era rimasto affascinato dalla sua bellezza. Una bellezza semplice, una bellezza dolce da Madonna. Quando poi i loro occhi si incrociarono sentì come un leggero brivido. La bellezza fà di questi scherzi, pensò.
Una mattina di qualche tempo dopo durante la prima visita alla nuova direttrice (visite periodiche compiute anche prima perché tra i suoi compiti vi era anche quello), Alberto si ritrovò nell’ufficio dell’asilo per espletare alcune incombenze. Si misero a parlare di cose pratiche e ufficiali, con lei dietro la scrivania e lui seduto di fronte.
Ma c’era qualcosa nell’aria di indefinito e indefinibile, di impalpabile che più volte distraeva entrambi. E c’era quella bellezza che imponeva di essere ammirata. Uno strano imbarazzo li contagiava come se quella visita non fosse prevista, come se quell’ambiente non fosse familiare.
Al termine del colloquio non lo seppe mai cosa spinse i loro corpi ad avvicinarsi, come non lo seppe mai neppure Maria Clotilde. Non seppero mai perché le loro labbra si trovarono a contatto e le loro braccia a stringersi. Bastò solo uno sguardo più lungo del solito, forse, o fu solo pura attrazione fisica.
O, chissà, forse fu il diavolo in persona a gettare uno fra le braccia dell’altra perché voleva far peccare due persone che avevano scelto di amare altri e quindi a tradire.
Una vera sfida demoniaca portata a termine con successo. Una trappola da cui uscire, ora, era diventato molto, molto difficile.
Aprendo gli occhi e vedendo lui che lentamente si stava rivestendo, Maria Clotilde provò una sorta di affetto misto a un senso di gratitudine, perché mai in vita sua era stata così felice. E mai in vita sua era stata così angosciata, impaurita, tormentata per quello che stava accadendo. Da donna si riteneva appagata. Da profonda e vera credente si riteneva portatrice di quel peccato che l’avrebbe dannata per sempre. Quel peccato che avrebbe voluto scrollarsi di dosso ma che ormai l’aveva coinvolta, rapita, resa complice. Pensò con assoluta razionalità che non avrebbe mai dovuto e potuto appartenere a quell’uomo. A nessun’uomo.
Pensò con assoluto sentimento e amore che quell’uomo, comunque, ora faceva parte di lei.
No, non poteva lasciare così l’uomo che le aveva fatto conoscere la gioia e la felicità, come non poteva lasciare l’asilo, i bambini che amava, il ruolo che le era stato affidato, la fiducia che avevano riposto in lei.
Maria Clotilde si ritrovò a pensare che quella assurda situazione sarebbe terminata prima o poi solo se qualcuno, scoprendo la sua relazione con Alberto, avesse acceso la miccia che avrebbe fatto esplodere quello scandalo tanto rifuggito.
Sperò che nessuno lo venisse a sapere mai.
Rivestendosi lentamente Alberto si dannò di quella situazione tanto assurda che lo aveva trasportato in quella spirale senza fondo. Pensò che amava i bambini che frequentavano l’oratorio e che faceva giocare divertendosi come loro, insegnando loro nuovi sport e che, ne era certo, lo amavano anche loro.
Ma di quella donna a cui non avrebbe dovuto appartenere mai come a nessun’altra donna, era ormai impregnato, intriso, innamorato.
Suor Maria Clotilde, neodirettrice del locale asilo, Suor Maria Clotilde che amava i bambini e amava allo stesso tempo (anche se in maniera diversa) Alberto, sperò che nessuno mai si accorgesse di loro.
Don Alberto, viceparroco del posto, Don Alberto viceparroco che amava i bambini che faceva giocare e i suoi parrocchiani e amava allo stesso tempo (anche se in maniera diversa) Maria Clotilde, sperò che nessuno mai si accorgesse di loro.
Sarebbe stata la fine di tutto.