Se so nuotare? Si, forse perché sono nato in riva al mare, in territorio messinese, nella casetta di pescatori detta la casa di Donna Ciccina, sulla spiaggia di Torre Faro.
Più che in vista di Messina, lontana, al termine di una lunga strada costiera, si scorgevano subito e di là dallo Stretto la sagoma di Palmi, la rupe di Scilla e la distesa di Reggio Calabria fra i piedi dell’Aspromonte e lo Stretto, che fin da piccolissimo, così sembra, volevo raggiungere ad ogni costo, prima agitando le manine, poi dicendo e indicando: là, là, e là...
A perenne smemoria di quell’evento la casetta fu demolita quasi subito dopo, e l’estrema lingua di terra della Sicilia protesa verso Reggio e il resto d’Italia violentata da quel “meraviglioso” traliccio, o pilone dell’energia elettrica dalla Sila e i suoi Laghi montani verso i Laghi costieri di Ganzirri e la Sicilia.
Le sue possenti e profonde radici d’acciaio e cemento sradicarono per sempre le friabili fondamenta della precaria abitazione di Donna Ciccina certamente sprovvista della dovuta pietra angolare, e quindi mi sono molto presto rassegnato a non avere mai dedicata una lapide, e se mai l’avessi meritata, su una facciata di casa con su scritto il fatidico “Qui nacque...”
S’è mai vista, e mai si vedrà, una lapide a perenne memoria di qualcuno, se non di povere vittime sul lavoro, legata a un traliccio? “Qui c’era… e qui nacque...” No!
Peccato, perché l’epigrafe ce l’ho già bell’e pronta, e non da oggi!
Un’epigrafe che m’è costata lagrime, tante, e sangue, per fortuna un poco, quasi niente.
Siamo nella terra del mito, sospesa fra i mostri Omerici di Scilla e Cariddi, e quindi chi meglio di Cassandra, non perché donna, che l'otto marzo ci starebbe anche bene, ma per quello che quel personaggio rappresenta, e al quale mi ha da sempre accomunato la capacità di prevedere i fatti.
Non perché oracolo di Delfi nella Focide, né Sfinge di Edipo accovacciata sul monte Ficio, non grazie a tarocchi né ad oroscopi, ma per esercizio e capacità di far tesoro di logica e memoria, sintetizzando storie collettive intrecciate col vissuto individuale. O viceversa.
E dove potrò mai far incidere ciò che ora ho impresso ben chiaro nella mente, «Non chiamatemi Cassandra... Anzi, no, chiamatemi proprio così», se non sotto un cipresso, il più possibile vicino alle radici che non ho più, e accostato, quasi stretto a quel suo tronco, visto che Madre Natura l’ha privato d’una chioma ombrosa com’è quella di un pino?