Jane Dawson avvertiva netta la sensazione che Waynesboro sarebbe stata la prima città della Virginia ad essere invasa dalle truppe unioniste. Il primo posto dove si sarebbe abbattuta, come un tornado, la torma nordista ancora ebbra dalla carneficina di Gettysburg. Perciò radunò immantinente le donne del paese per organizzare un piano di difesa. Senza più uomini, risucchiati dalla guerra, avevano acquisito prerogative e atteggiamenti a loro prima preclusi dalle imperanti usanze. Tutte, ad esempio, sapevano maneggiare pistola e fucile, così come l'ascia e la zappa.
L'adunanza, che si tenne in un surriscaldato saloon, andò avanti per ore solo per definire i dettagli di intenti, invece, condivisi all'unanimità: ad accogliere gli yankees sarebbero rimaste le malate e le vecchie, pronte a qualsiasi sacrificio, e i negri sfiancati dallo scudiscio. Mentre le giovani e i bambini sarebbero stati occultati nei rifugi sotterranei delle piantagioni circostanti con tutto il necessario per una lunga permanenza.
E così fecero. Non restava che aspettare e sperare per il meglio.
La grossa nube di polvere sul non lontano crinale e l'eco dello scalpiccio di zoccoli confortarono i timori di Jane. Armata di cannocchiale, fucile e pistole si piazzò in mezzo alla strada principale decisa ad affrontare il nemico, senza però avere alcuna idea su cosa avrebbe detto o fatto. Il latrato di un cane, l'unico essere vivente in circolazione, bucava il silenzio e la calura infernale che strangolava un paesaggio reso ancor più desolante dalla sinistra sagoma di un corvo appollaiato sull'enorme cactus all'ingresso della città.
Quando nacque Jane nessuno fece salti di gioia, né mai li fece dopo. La madre perché incapace di sentimenti ed emozioni, il padre perché deluso e sconcertato dal sesso del nascituro. Cresciuta, dunque, tra indifferenza e critiche, cercò in ogni modo di vincerle facendo qualsiasi cosa pur di essere considerata, accettata. Così operando, però, non si rese conto, se non quando non poteva più tornare indietro, di essersi snaturata. Fino a trasformarsi in un individuo indecifrabile persino a se stesso, un coacervo di anime disparate e pulsioni contrapposte che la portarono a essere umorale, diffidente e arida. E dura come il granito. Sul quale s'infransero due o tre temerari attratti dal suo ragguardevole personale. E nel quale rimasero imprigionati i suoi sogni.
Non si meravigli il lettore, dunque, se Jane in quegli istanti fu squassata, oltremodo, da ondate di emozioni, turbolenze di pensieri contrastanti e una ridda di dubbi. Sotto il solleone il suo cervello era in totale subbuglio e il suo cuore batteva all'impazzata, sollecitato dalla paura, dall'astio e dalla speme. L'odio per il nemico non costituiva un deterrente al suo mai sopito bisogno d'amore e, pertanto, seppur pronta alla battaglia era disposta a deporre le armi (e arrendersi senza condizioni) laddove avesse intravisto un'opportunità, persino tra quelle fila.
La guerra, in fondo, non era che un litigio in famiglia e, nonostante i lutti e dispiaceri, avrebbe presto lasciato il posto alla serenità e a un'armonia ritrovata quanto fortificata. E i negri, dopo le chimere, avrebbero dovuto riabbassare per sempre la testa. Al massimo concedendo loro, di tanto in tanto, elemosine e pacche sulle spalle.
La colonna nordista entrò in paese lentamente. Con in testa un giovane capitano dai capelli lunghi e rossicci, che sorrideva e se li aggiustava di continuo con la mano. A quella visione il cuore di Jane si mise a galoppare mentre già disegnava i momenti della loro grande storia d'amore.
Alle spalle del capitano, a debita distanza, il sergente e poi il resto della compagnia coi soldati affiancati due a due. Tutti neri, più della pece.
Per il cuore di Jane fu veramente troppo. E si arrestò, scatenando il finimondo.
La compagnia nordista si trovò in pochi attimi accerchiata da un nugolo di donne, sia bianche che nere, inferocite e armate sino ai denti. Colta di sorpresa ancorché esterrefatta, si lasciò sopraffare, senza opporre resistenza alcuna, da quell'insolito quanto determinato avversario.
Jane Dawson si riprese dal deliquio a massacro ultimato e, appena in piedi, si fiondò tra i corpi esanimi, ancora caldi, alla ricerca del suo principe azzurro. Poi si avviò a casa, a testa bassa, imprecando sconsolata contro il destino cinico e baro.