Questo piccolo e amatoriale telescopio è diventato, col tempo, un’occupazione piacevolmente importante, come qualcosa che non devi fare, ma che vuoi fare, costantemente.
Alla sera, dopo cena e se il tempo permette, lo carico in auto e parto verso un’altura poco lontana, dove un pianoro isolato permette di non essere disturbati da luci e rumori.
Arrivato lì mi fermo, scendo dalla macchina, cammino su quello spiazzo erboso fino al bordo che dà su un piccolo precipizio, mi siedo sulla stessa pietra piatta che sporge come un dente dal terreno, sento il freddo di essa sulle natiche, fumo una sigaretta, respiro, penso, guardo gli alberi che mi circondano, che a quest’ora sono ombre sullo sfondo e sembrano chiacchierare sommessamente nel leggero fruscio delle foglie, parlare tra loro di cose che noi umani non siamo tenuti a sapere.
Poi torno all’auto, prendo il telescopio, lo monto sul suo treppiede e comincio a guardare il cielo.
Una sera a est, una a ovest, una a nord e una a sud, per poi ricominciare.
Cosa cerco? Nulla. Guardo, talvolta scopro. Pianeti che brillano come stelle, stelle che sembrano fredde come pianeti di ghiaccio, scie luminose che passano velocissime – chissà cosa sono! – e nebulose lontane. Guardo, e mi sento parte di un grande tutto. Piccola, microscopica, insignificante parte.
Da qualche sera, ho notato che non sono solo. C’è un’altra persona che viene qui, anche lei con un telescopio, migliore del mio. Stranamente, la cosa non mi ha dato nessun fastidio, nonostante pensassi a questo posto come il mio “angolo di solitudine”. E’ una donna. Se ne sta in disparte, lontana, credo non voglia disturbare e nemmeno essere disturbata. Guarda e osserva, come me.
Ieri mi ha fatto un saluto. Ha alzato lievemente una mano, e io le ho risposto. Stasera la sto aspettando, vorrei cercare di conoscerla. Mi ha colpito la sua grazia, in quel gesto leggero. Magari non vorrà, preferirà starsene da sola. Non fa niente, comunque è una presenza gradita.
Il tempo sembra abbia una vita propria. Pulsa come un cuore, si allarga e si stringe secondo il momento.
Quanto ne è passato, da quando l’ho conosciuta? Non saprei dirlo. Qui, tutte le sere, con i nostri telescopi. Solo che io non guardo più il cielo, ma guardo la storia che c’è nei suoi occhi. Ho scoperto più cose lì, che non in mille universi.
Il tempo si dilata all’infinito, nel ricordo di quel momento in cui mi ha detto che cosa cercava nel cielo.
“Sto cercando la mia stella invisibile.”
“E come farai a vederla, se è invisibile?”, le ho chiesto.
“Forse non la vedrò mai, forse si farà vedere per un attimo.”
“Allora sarei felice, se tu la vedessi.”
Stasera sono qui senza di lei. Sapevo che non ci sarebbe stata, me lo aveva detto.
Ieri eravamo insieme, noi due e i nostri telescopi. Ero dispiaciuto, perché sapevo.
Lei mi ha osservato, e ho visto la sua storia che mi guardava. Gli alberi se ne stavano, stranamente, in silenzio, in attesa.
“Vieni qui”, mi ha detto. Ha passato leggermente una mano sui fili d’erba, e poi me l’ha appoggiata sulla fronte. Ho sentito il fresco della rugiada che aveva raccolto, insieme al calore della sua pelle.
Ho chiuso gli occhi, e l’ho vista. La mia stella invisibile.
Ci sono persone che regalano agli altri ciò che esse stesse stanno cercando.