Ed eccomi qua. Come tutte le sere, da due anni a questa parte. Ho provato anche di giorno, ma non andava meglio. Almeno di sera dopo un po’ cala il sonno, torpido e liberatorio per qualche ora. E ‘fanculo tutto fino al mattino dopo. Non so perché non mi sono ancora arreso. Sarà perché altro non so fare. E i rimpianti. E la rabbia. Appoggio la fronte sul ripiano in vetro della mia scrivania high-tech. E’ gelido, ma non rinfresca. Le idee, almeno. Niente. Ho immaginato una nuova storia e dei nuovi personaggi, ma questi non si animano, dopo qualche passo rimangono lì, fermi come statue di sale. Eppure una volta ci sapevo fare, ad inventare personaggi. Ero uno scrittore di successo. Un best seller all’anno, centinaia di migliaia di copie. Soldi, fama, e tutto il resto. Una vita sopra le righe. Poi il buio. Il mio editore mi ha imposto una rescissione “consensuale” del contratto. Il mio agente non mi chiama più da mesi. Il mio ultimo romanzo ha esaurito la sua spinta propulsiva da un anno e più, restano le edizioni economiche in vendita nelle edicole. Giusta fine per l’ennesimo polpettone a base di leggende, misteri, delitti, passioni inconfessabili e sesso esplicito. A volte passioni esplicite e sesso inconfessabile. Ah ah ah. Che cazzo c’è da ridere? Ci ho campato, e bene, per anni. Dalle quattro alle cinquecento pagine per volta, scritte con una facilità quasi vergognosa. Presentazione e uscita opportunamente verso Natale. E via con la promozione, le interviste, le recensioni, le vendite da capogiro. Tutti a fregarsi le mani, io per primo. Stronzi. E adesso? Mi ha mollato anche Cate, fanno otto mesi tra qualche giorno. Cate sta per Caterina. O per Caterpillar. Uno schiacciasassi lo era per davvero, sempre una parola cattiva per chiunque. Una snob, in sostanza. Nessun problema, lo ero anch’io allora. La coppia perfetta, un uomo di successo con una donna di successo. Poco meritato, in entrambi i casi. E male amministrato. Abbiamo condiviso questa casa per un pezzo, l’arredamento è opera sua. Immagine, diceva. La sera che se n’è andata mi ha detto: “Ti sei spento come un mozzicone di candela senza più stoppino.” Avrei voluto chiederle se pensava la stessa cosa dei giochi acrobatici che facevamo ogni notte, con militare disciplina; ma ho avuto paura di una delle sue risposte taglienti. Così l’ho lasciata andare, e ho adottato un gatto. L’ho chiamato Cate, pensa un po’. Ma è fuggito anche lui. Forse si è offeso per il nome femminile nonostante fosse un maschio. Certo non sono mai entrato nel suo cuore. Nello stomaco si, però. Quintali di croccantini ed ettolitri di latte. Vaffanculo anche a lui, ovunque sia finito. E così ora sono definitivamente solo. Solo con il mio Mac ultimo modello. Schermo vuoto. Se non è vuoto, si riempie di storie senza senso che vengono cancellate il mattino dopo, al risveglio. Se non le cancellassi io, penso che si eliminerebbero da sole, tanto sono sterili. E questo blocco qui di fianco, il quarto o quinto, non ricordo. Carta legale gialla, morbida e liscia. Ci scrivo a mano il diario dei miei fallimenti, visto che ho tempo per farlo. Una ridda di pensieri quasi incontrollati, abbozzi di storie finite male, insulti verso gli altri e, soprattutto, me stesso e la mia vita degli ultimi tempi. Uno sfogo. Parlo con me attraverso la scrittura. Fronte-retro, grafia fine e ordinata, è sempre stata il mio vanto. Chissà quante cazzo di parole avrò scritto da quando è cominciata questa abitudine perversa. Gli altri blocchi, quelli finiti, sono chiusi nel cassetto in cima. Un giorno o l’altro faccio un bel falò in giardino, e ci danzo intorno come un indiano. E poi vado a cercarmi un lavoro. Quale? Aiuto becchino sarebbe appropriato, visto lo stato d’animo.
A meno che …
No, è un’idea assurda. Però …
Dove ho messo la chiave di ‘sto accidente di cassetto? Apriti, stronzo. Eccoli qua, sono cinque. Sei con quello sulla scrivania, addirittura. Uno sopra l’altro fanno un bel pacco di roba. Non ci credo, ma devo accertarmene …
Sono esausto. E’ l’alba, e ho letto tutta la notte. Sto fibrillando, una tensione mai provata. Avrei bisogno di fare una doccia e bere un litro di caffè, ma non riesco a staccarmi da questi diari. La migliore cosa che abbia mai scritto, di sicuro. E l’ho fatto senza rendermene conto, per tutto questo tempo. Dio, che storia assurda! Cerchi la cosiddetta “ispirazione”, e intanto un’altra parte di te scrive cose che hanno un corpo e un’anima che non ti saresti mai sognato. Mi sento come un ladro, uno che ruba le idee ad un altro. Ma che sto dicendo? Ci sono io, lì dentro. Un io che non conoscevo. Piacere di incontrarti, figlio di puttana, dove ti nascondevi? Sono emozionato come un bambino. E mi scappa da ridere, non riesco a trattenermi. Una risata che schianta le viscere, come i dolori di un parto. Sto rinascendo.
Porterò questa bozza al mio editore. Dovrà piacergli così com’è, non ho intenzione di cambiare una virgola. E se non gli piace me ne cerco un altro, a costo di pubblicare a mie spese. E di distribuire copie gratis a chiunque incontri per strada. Non me ne importa.
Ho già deciso il titolo, si chiamerà “Il blocco dello scrittore”, e comincerà così:
“Ed eccomi qua. Come tutte le sere, da due anni a questa parte.” …