Appena entrati alle terme, i suoi genitori si erano diretti verso il fondo del parco, dove un complessino stava suonando le canzonette in voga allora; sopratutto i motivi che si potevano ballare. A lui, quelle musichette melense non piacevano. Anche se aveva solo undici anni, gli piacevano invece le musiche che sentì provenire dal grande padiglione centrale. Lì, un'orchestra formata da una decine di strumenti ad arco stava eseguendo un concerto di musica classica. Ma che quel genere fosse definito “musica classica” lui non lo sapeva ancora. Lo avrebbe scoperto solo alcuni anni dopo.
Seguendo le note della sinfonia, che si sviluppava come un misterioso arabesco, dimenticò per qualche istante le mille domande sul mondo e sulla vita che gli ribollivano in testa. Su tutte, la questione che considerava più importante era capire cosa gli sarebbe accaduto una volta diventato adulto. Non riusciva proprio a immaginare che un giorno avrebbe ostentato la stessa sicurezza di suo padre. In effetti, non ci riuscì mai.
Non si mise a sedere in platea. Era troppo timido per accomodarsi tra gli adulti. E poi pensava di non averne diritto. Perciò restò in piedi, dietro l'ultima fila. Fu allora che la vide. Camminava con una tale leggerezza da sembrare sospesa in aria. Era bellissima. Il cuore iniziò a battergli forte nel petto, e accelerò ancora, quando incontrò il suo sguardo. Avrebbe voluto seguirla e magari approfittare di un attimo di distrazione delle due persone che l'accompagnavano per dirle che era bellissima. Ma era davvero troppo timido per prendere l'iniziativa. E poi, il fatto che lo avesse guardato poteva essere del tutto casuale. Sicché rimase a fissare il gruppetto che si allontanava con un groppo in gola. Ora non gli importava più nulla della musica.
Per cercare di spegnere l'agitazione che lo scuoteva si mise a camminare in fretta, passando in mezzo alla folla indifferente. Arrivò fino al chiosco della fonte Igea e si fermò per riprendere fiato. Lei era lì. Reggeva con entrambe le mani la sua borsetta rosa. Era sola. E lo stava guardando. Lui ricambiò lo sguardo cercando di comunicarle la sua ammirazione senza parlare, ché le parole proprio non volevano uscire. Lei stette al gioco per un po', infine lo guardò spazientita e se ne andò. Lui ci rimase male. Forse si era sbagliato. Forse aveva creduto in una fiaba, mentre si era trattato di una banale coincidenza. Il caldo di quel pomeriggio di maggio doveva avergli dato alla testa. Era sicuro che non l'avrebbe rivista.
Tornò a passeggiare, stavolta molto lentamente perché non gli era rimasta nessuna energia. Aveva avuto davanti a sé la più bella creatura del mondo e non era stato capace di fare nulla. Nemmeno un gesto. Mentre rifaceva il giro del parco, i suoi occhi comunque la cercavano. Vide facce raggrinzite di vecchi, belle signore eleganti, ragazzi vestiti all'ultima moda. Finché finalmente la ritrovò. Era seduta su una panchina di legno dipinta in verde scuro.
Si guardarono di nuovo. Di nuovo, lei si alzò e iniziò a camminare. Ma adagio, come se volesse dargli il tempo di seguirla. Era una specie di balletto o, meglio, di controdanza. Quando lei si fermava, lui rimaneva a poca distanza e dopo un attimo riprendevano entrambi a camminare. A un certo punto, per essere sicuro che non fosse tutto un malinteso, lui la sorpassò e si diresse verso il laghetto dei cigni, dove si fermò ad attenderla. Lei arrivò poco dopo. Nel frattempo, però, nel suo animo si stava svolgendo una terribile lotta; da una parte l'entusiasmo, che cercava di convincerlo a rivolgerle la parola, dall'altra, la timidezza e il timore di fare una brutta figura, che lo tenevano stretto al guinzaglio.
Trascorse del tempo. Quanto, non seppe mai. Alla fine, riuscì ad avvicinarla. Si presentarono e si scambiarono gli indirizzi, scrivendoli su un pezzo di carta strappato da un quaderno e senza dirsi altro. I genitori la stavano già chiamando per tornare in albergo. Non la vide più.
Rientrato a casa dalle vacanze le scrisse una lunga lettera, alla quale lei non rispose. Molti anni dopo, ripensando a quel breve incontro, ipotizzò che la sua lettera fosse stata intercettata dai genitori della ragazzina. Vi aveva riversato confusamente tutto ciò che provava per lei. Forse l'aveva ricevuta e si era spaventata per tanto ardore. Oppure la lettera era andata persa. Poteva accadere in una metropoli come Milano. Ma in fondo era meglio così. Se quella piccola storia fosse diventata grande, lui non sarebbe stato in grado di offrirle niente. Ma quando ci pensava, dopo tanto tempo, sentiva ancora salire la rabbia.
Maledetta timidezza.