L’edificio che ospitava la scuola media dove frequentavo il terzo anno era fatiscente, un vecchio palazzo un tempo occupato da uffici comunali e da abitazioni. Nei primi giorni di aprile furono notate alcune lesioni sui muri maestri. Il Preside interpellò con urgenza i tecnici comunali i quali, dopo una attenta ispezione, dichiararono inagibile l’edificio. La scuola fu chiusa per consentire i necessari lavori di consolidamento statico e le lezioni sospese. Rimanemmo per circa una settimana a casa, in attesa che il Provveditorato e il Comune risolvessero il problema.
Fu così che gli studenti della nostra scuola furono ospitati dal vicino istituto Paisiello fino alla fine dell’anno scolastico. Per noi che venivamo dalla disastrata Pietro Paolo Parzanese fu creato un secondo turno pomeridiano; entravamo alle tre del pomeriggio, dopo l’uscita degli allievi del primo turno e dopo la pulizia delle aule, e uscivamo quando era già buio, verso le otto di sera.
L’istituto Paisiello era un edificio costruito nel dopoguerra, progettato per essere una scuola, quindi bello e nuovo. Alla mia classe fu assegnata un’aula al secondo piano, la quarta stanza in un lungo corridoio. Fuori dall’aula c’era una targa: Seconda B femminile. Sotto, su un foglio scritto a mano, l’indicazione della nostra classe: Terza C – P.P.Parzanese.
La nostra scuola, avendo solo poche sezioni, occupava solo una parte dell’edificio che rimaneva in gran parte vuoto. Già verso il tardo pomeriggio i corridoi diventavano spettrali, erano poco illuminati e l’eco delle voci e dei passi incuteva un po’ di timore. Ben presto si diffuse tra tutti gli studenti la leggenda che di notte, per quelle aule e per quei corridoi, si aggirasse lo spirito di Giovanni Paisiello e a mezzanotte si potessero ascoltare le note del barbiere di Siviglia. Anche i più coraggiosi e increduli degli studenti evitavano di uscire dalla classe e avventurarsi in bagno o in segreteria da soli per paura di imbattersi nel barbiere di Siviglia, armato di rasoio. L’insegnante di musica tenne una lezione nella quale descrisse la vita del compositore e apprendemmo che, dopo essere stato alla corte di Napoleone, trascorse gli ultimi anni di vita a Napoli, dove i Borboni non lo accolsero con favore. Questa storia avvalorò l’ipotesi che fosse un’anima dannata e che cercasse vendetta per mano del barbiere di Siviglia.
Un giorno sul mio banco di formica celeste trovai un fiore disegnato a matita, una piccola margherita con tratto leggero e delicato. Non dissi nulla a Giovanni Martone, il mio compagno di banco, ma la mia mente iniziò a chiedersi chi occupasse quello stesso banco nel turno della mattina, chi avesse disegnato quel fiore. Prima che la lezione finisse dal mio astuccio portapenne presi una matita e, senza farmi vedere da Martone, disegnai una farfalla che si accostava alla margherita.
Il giorno dopo era domenica e la mattina incontrai i miei amici del rione. Il lunedì tornai a scuola, avevo quasi dimenticato il disegno sul banco, ma nel sistemare i libri sotto il ripiano notai che il disegno era stato arricchito con una bambina armata di retino nell’atto di catturare la farfalla che avevo disegnato. Anche il mio compagno di banco notò il disegno e commentò che le ragazze della mattina si divertivano a disegnare sul banco invece di essere attente alle lezioni.
Alla terza ora avevamo disegno e ne approfittai per aggiungere anch’io un particolare al disegno sul banco: un cagnolino che seguiva la bambina che catturava la farfalla. Martone mi vide e non disse nulla, ma scrisse sull’angolo a destra del suo banco “ciao”. Ci scambiammo un sorriso d’intesa. Io cercai di immaginare come fosse la ragazza con cui scambiavo graffiti.
Alla prima ora del giorno dopo c’era educazione fisica e scendemmo nel cortile della scuola. Fuori la primavera era scoppiata, ma io e Giovanni Martone non vedevamo l’ora di tornare in classe per vedere se ci fossero state risposte ai nostri segnali. Le risposte ci furono. Al disegno era stato aggiunta un’altra bambina che teneva al guinzaglio il mio cagnolino. Sul banco di Giovanni era comparsa una piccola annotazione sotto la sua scritta “ciao scemo”. Lui sulle prime ci rimase un po’ male, poi si mise a ridere e non provò più a lasciare messaggi. Io avrei voluto aggiungere un altro particolare al disegno, ma non mi venne in mente niente. Nei giorni seguenti non ci furono novità fino a quando il sabato una solerte bidella, armata di straccio e detersivo, pulì il banco e il disegno e le scritte scomparvero.
Dopo alcuni giorni senza segnali tra me e la mia piccola collega di banco pensai che era venuto il momento di lasciare una traccia e disegnai un piccolo gatto visto di fronte, perché mi riusciva molto bene. Il giorno dopo il mio gattino era sotto la pioggia di una nuvola. Giovanni rise molto, ma io non mi persi d’animo, disegnai un ombrello al micio per ripararlo dalla pioggia, ma dopo qualche giorno anche questo disegno sparì.
Decisi che era il momento di fare un altro passo per conoscere la ragazza del primo turno. A casa, tra un compito e l’altro, scrissi un biglietto da lasciare sotto il banco il lunedì successivo. “Ciao sono Ciro, il ragazzo che occupa il tuo banco di pomeriggio. Volevo dirti che mi piace molto come disegni e anche a me piace disegnare. Mi piace molto la vostra scuola ma venire di pomeriggio è molto scomodo, spero che presto riparino la nostra. Come ti chiami?”.
Il giorno dopo e quello seguente il biglietto era ancora lì, poi sparì, ma non ci fu risposta. Intanto la mia curiosità per la coinquilina del mio banco era cresciuta e progettai un altro piano. Portai a scuola un vecchio quaderno di appunti di italiano che non mi serviva più e lo lasciai sotto il banco. La mattina dopo mi recai a scuola e al custode che mi fermò all’ingresso, spiegai che dovevo assolutamente recuperare un quaderno di appunti che avevo dimenticato la sera prima in classe, perché dovevo ripassare la lezione per l’interrogazione. Il custode e la bidella del piano si convinsero e mi lasciarono passare. Arrivato alla classe bussai, una volta entrato chiesi il permesso al professore di recuperare il mio quaderno.
Il mio banco era vuoto, alla ragazza a fianco al mio posto chiesi: <<Ma qui non c’è nessuno?>>, e lei mi rispose che quel posto non era occupato, la ragazza che a inizio anno aveva preso posto lì dopo un po’ non era più venuta a scuola, forse perché malata. Ritornai a casa scosso e incredulo. Mia madre lo notò e mi chiese cosa avevo, se avessi visto un fantasma. Le risposi che forse sì, avevo visto un fantasma. Il pomeriggio chiesi a Martone di scambiarci posto e cercai inutilmente di non pensarci più.
A fine anno fui promosso e mi iscrissi a ragioneria, ma da allora,ogni volta che passo davanti alla Scuola Paisiello, penso alla misteriosa ragazzina dei disegni sul banco.