Il primo tentativo di uccidere Abele, a opera di Caio - figlio di mamma - e Nora - figlia di papà-, fu al suo primo mese di vita. Si rivelò un fallimento tale che nessuno si accorse, compresi mamma e papà, del presunto pericolo corso dal nascituro. Va detto che all'epoca i due figliastri avevano: Caio, tre anni e Nora sette. Il loro primo, bislacco piano, non mise in pericolo nemmeno per un attimo la vita del neonato. Col passar del tempo, comunque, i due diavoletti di sangue-misto affinarono le loro indoli criminali.
“Ciuccia le tette di mamma come un forsennato.”, disse Caio, seduto per terra in salotto, impegnato con una costruzione in lego che avrebbe dovuto essere un missile spaziale.
Nora era stravaccata sul divano con la sua bambola di pezza seduta sopra la sua testa. Le piccole gambette di stoffa imbottita penzolavano inermi a coprire gli occhi della bambina.
“E allora?”, rispose la sorella trovata, senza muovere un muscolo. “Una ciucciatina me la farei anch'io pure adesso, se potessi.”
Caio alzò lo sguardo verso le due femmine una sopra l’altra, ma solo una di loro, pensò, aveva il diritto di non avere un cervello.
“Tonta!”, alzò la voce sussurrando.
“Non capisci! Succhia tutto il giorno. Mattina, pomeriggio e notte!”
Ormai il bambino aveva perso ogni interesse per il missile spaziale.
Nora scostò svogliatamente le gambe della bambola per poter guardare il suo piccolo complice negli occhi.
“Cosa cavolo te ne frega a te. Tu le tue ciucciate su quelle tette te le sei fatte. Cosa dovrei dire io, che la mia cara mammina, per non perdere la tonicità delle sue poppe, mi ha nutrito dal primo giorno di vita con latte in polvere”
Caio si alzò da terra e si avvicinò al bordo del divano dove era distesa Nora.
Guardò serio la sorellastra e disse una sola parola.
“Incubo.”
*
La notte che a Caio venne un incubo così terrificante da convincere i suoi genitori a lasciarlo dormire nel lettone con loro, la sua sorellastra era già pronta sotto il letto, con la boccetta di dopobarba del papà fra le mani tremolanti.
Il piano, a detta del discolo, era semplice quanto geniale.
“Basta farsi venire una crisi di paura dovuta ad un brutto sogno, i due babbei pur di dormire mi portano nel loro letto e tu, appena si addormentano, mi passi la boccetta del veleno di papà. Lo hai visto te, tutte le mattine le smorfie di dolore che fa solo per mettersene alcune gocce sul viso dopo essersi rasato. Io lo spargo ben bene sui capezzoli enormi della mamma e alla prima ciucciata: addio Abele.”
Funzionò tutto alla perfezione, eccetto l’esito finale.
La mamma al mattino si accorse appena del rossore dei suoi capezzoli e pensò che la causa fosse dovuta all’ultima poppata notturna del suo bebè. Era stato vorace.
Abele, a parte una leggera ubriachezza infantile che nessuno mai avrebbe certificato, al risveglio stava meglio che mai.
Il secondo tentativo non passò del tutto inosservato, accadde quasi due anni dopo.
Era il giorno del secondo compleanno dell’adorato fratellino.
Questa volta fu Nora a ideare la delittuosa trama.
Durante la festa di fine anno, allestita nella palestra della scuola e poi proseguita in giardino per i fuochi artificiali finali, alla malefica bambina venne un’idea degna delle peggiori menti criminali infantili. Si avvicinò furtiva al bidello, che quel giorno aveva l’oneroso compito di artificiere, e in un attimo di distrazione dell’uomo la piccola si mise in tasca due micce-petardo. Due, come gli anni che di li a poco avrebbe compiuto l’odioso poppante. Fu un crimine premeditato.
Toccò a Caio, arrivato il giorno del compleanno, trovare il momento giusto per sostituire le due candeline della torta con i due petardi.
Attese l’apertura dei regali e nella confusione del momento si intrufolò in camera dei suoi, dove per usanza, sopra il comò attendeva la torta pronta per il gran finale.
Entrò al buio nella stanza e, solo dopo essersi chiuso la porta alle spalle, accese la luce. La torta era là. Una deliziosa creazione di pan di Spagna, crema pasticcera e scaglie di cioccolata, il tutto guarnito con una corona di rigonfi bignè glassati.