Mi chiamo Samuele e ho otto anni. Mamma non lo sa, ma papà è morto.
Stamattina è venuto a svegliarmi per andare a scuola come tutte le mattine. Lo fa sempre allo stesso modo: entra in camera mia, alza un po' la serranda, non molto, quanto basta per farmi aprire gli occhi senza accecarmi; poi si avvicina al letto, infila una mano sotto le coperte e comincia a solleticarmi i piedi, così io mi sveglio ridendo. Mi sono sempre svegliato ridendo fin da quando ho cominciato ad andare a scuola. Sempre tranne stamattina, perché la cosa che è entrata in camera mia, ha tirato su la serranda e ha infilato una mano sotto le coperte non era mio padre. La mano era fredda, viscida, i movimenti lenti e rigidi. Non era una mano viva, mi ha fatto schifo e ho subito ritratto le gambe rannicchiandomi in un angolo del letto. Lui non è sembrato accorgersene, mi ha sorriso come faceva sempre mio padre, anche se il suo sorriso era tirato, finto, come di plastica. Gli occhi vitrei non guardavano me, ma attraverso me, e poi con una voce roca e cavernosa mi ha parlato:
-Buongiorno Samu, è ora di svegliarsi. Ti preparo i cereali-
Poi si è alzato ed è uscito. Sono rimasto paralizzato dal terrore almeno dieci minuti, immobile nel letto, finché non è entrata mia madre a chiedermi se stessi bene; non era mai successo che non scendessi al volo per la colazione. Io non sapevo come dirglielo, non sapevo se lei lo avesse visto ma era così palese, così evidente che quello non era papà che non riuscivo a capire come mai non se ne fosse accorta.
Poi l'ho visto, il buco sulla nuca di papà, ricoperto malamente da una poltiglia di sangue e capelli. Era terribile. Mamma non lo vedeva; se ne andava in giro per casa raccogliendo panni da lavare e sistemando stoviglie come se fosse tutto perfettamente normale.
-Fai cOlaZioNe in fReTta Sam, il pUlMiNo deLla scUolA saRà qUi a mOMenTi-
Il mio papà morto faceva sempre più fatica a parlare, si stava decomponendo sotto i miei occhi. Era violaceo e la pelle si staccava ad ogni suo movimento andando a fluttuare sul pavimento, dove rimaneva. Questo mi convinse che non avevo le allucinazioni, che era tutto vero. Il fatto che la pelle morta di mio padre non scompariva ma rimaneva lì ad accumularsi sotto i suoi piedi gonfi. La mamma non vedeva neanche quella.
Il buco sulla nuca prese a sanguinare e a pulsare, temevo ne sarebbero usciti dei vermi, così distolsi in fretta lo sguardo per non vomitare. Mi veniva da piangere perché l'odore dei cereali e del latte caldo mi confermavano che non stavo sognando. Avevo perso il mio papà e mi toccava convivere col suo cadavere. Poi diede un bacio alla mamma con quelle labbra viola e spellate e andò di sopra a vestirsi. Come faceva ogni mattina, come se fosse tutto normale. Ovviamente non mangiai e non dissi una parola, mi vestii velocemente, afferrai lo zaino ed uscii in strada molto prima dell'arrivo del pulmino. Volevo scappare da quell'incubo. Mia madre mi salutò distrattamente, aveva recuperato la mia mazza da baseball chissà da dove e l'oscillava come per saggiarne il peso.
La notizia arrivò durante l'ora di scienze. La maestra ci stava parlando dei funghi quando entrò la preside per dirmi che mio padre era morto. Aveva battuto la testa, un brutto incidente domestico mi disse. Forse non reagii come si sarebbe aspettata. Non urlai e non piansi, non diedi di matto né mi chiusi in me stesso; il fatto era che già lo sapevo; e sapevo come era morto.
Venne a prendermi mia madre sconvolta; piangeva, pianse per tutto il tragitto, tanto che sperai che non andasse a sbattere da qualche parte. Non le chiesi cosa fosse successo e lei non me lo raccontò. Non le dissi neanche che papà era morto già da stamattina, non ne ebbi la forza e poi non mi avrebbe creduto.
Ora sono chiuso in camera mia. Sono davanti lo specchio e guardo con terrore una brutta ferita che si sta aprendo su un lato della mia testa. Sanguina ma non sento dolore; i capelli si stanno appiccicando sulla testa. Faccio fatica a muovermi con disinvoltura. Ho preso carta e penna per raccontare quello che mi sta succedendo. Sono lento a scrivere e il sangue continua a colarmi davanti gli occhi ma devo farlo sapere a qualcuno. Sento mia madre che gira per casa con la mia mazza da baseball in mano. Sento che si sta avvicinando.