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E ridi, ridiamo tutti, con quella capacità sgangherata che le famiglie hanno di saper scherzare sulla vita e la morte, abbracciandosi in un litigio e lasciandosi immischiare nei racconti di un secolo fa. Quelli con poche parole imparate lavorando dalla gente ricca, che l’italiano lo aveva studiato. Quei racconti infiniti e sempre uguali, ma che ogni volta sembrano farsi sempre più minuziosi. E la bocca si muove in un carosello di rughe; ne cavalco qualcuna, nella speranza di trovarci intrappolato qualche dettaglio in più, qualche profumo, magari quello di nonno. Scivolo verso i tuoi palmi, non senza notare un seno assente e uno ormai appassito, che non ti priva di femminilità, che non spezza il legame con le tue figlie. Nei tuoi palmi mi accogli, nel labirinto di linee, una per ogni decennio di fatica e sudore. Mi perdo e se non trovo l'uscita faccio finta di nulla, vado oltre per restare ancora un po', per ingannare l’inesorabile avanzare dell’atto conclusivo.
A fine pasto, a fornelli spenti e animi accesi, con gli occhi imbambolati su una tazzina di caffè, con quel modo di fare riflessivo, affamato di dettagli, realizzo ancora una volta quanto tu sia il vero legante di questa famiglia. Tu, rugosa e golosa, fragile e allegra. Tu, in un infinito ondeggiare di testa e occhi strizzati. Tu, il principio di una lunga lista che, istante dopo istante, srotola motivi che aiutano chi t’incontra a non dubitare di Dio, a credere che amare resti una cosa sacra, anche quando un matrimonio è spezzato e una vita interrotta. E adagiandoti a letto nell'incertezza di un nuovo giorno alle porte, mentre il mondo lo dà già per scontato, tu ripercorri ogni pennellata del ritratto di famiglia, sempre remissiva al "non si sa mai".
E quando un giorno in più arriva e io noto la furia della notte appena trascorsa, riparto da zero, rifaccio l’inventario delle rughe e dei sorrisi, con lo slancio di chi sa che più un fiore sfiorisce e più rilascia profumo.
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Utente Anonimo
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