Sono incuriosito da questo nuovo paziente.
E’ la prima volta che viene nel mio studio, è capitato qui all’improvviso, senza appuntamento; ha chiesto, insistentemente, di essere ricevuto comunque. Ho deciso di ascoltarlo, tutto in lui indica un’urgenza, pur se l’aspetto è calmo e tranquillo. Gli ho detto qual è la tariffa per un’ora di seduta: ha pagato in anticipo, senza battere ciglio. Poi si è accomodato sulla poltrona di fronte alla mia, come se sapesse esattamente dove sedersi. Ha chiesto che accostassi un po’ gli scuri delle finestre, e ora lo vedo in penombra, occhi che brillano nel quasi buio, i contorni della sua figura.
Devo rompere il ghiaccio, dargli l’abbrivio.
“Bene. Vogliamo cominciare a conoscerci? Vuole dirmi come si chiama?”
“No, dottore. Come mi chiamo non è importante. E’ importante che lei ascolti quello che ho da dire.”
“Come crede, per ora. Mi vuole dire almeno la sua età, quando è nato?”
“Ho cinquant’anni. E sono nato meno di cinque anni fa.”
Questo è interessante. Deve aver subito un trauma, cinque anni fa. Prendo nota sul mio taccuino: “Trauma pregresso. Dissociazione temporale.”
Mi guarda sorridendo. Ha sbirciato mentre scrivevo. Deve essere una di quelle persone che leggono la scrittura anche sottosopra.
“No, dottore, non si preoccupi, non leggo. So quello che lei ha pensato. E a proposito, nessun trauma, sa?”
Devo appuntarmi mentalmente anche questo: “Forti capacità intuitive, ma con punte di delirio d’onniscienza.” Intanto lui continua a sorridere. Chiudo il taccuino.
“Vuole spiegarsi meglio, allora? Perché dice di essere nato cinque anni fa? E, esattamente, quando e dove?”
“Beh, se proprio vogliamo tecnicamente definire delle date, diciamo che sono stato concepito un giorno di Aprile di quell’anno, poco dopo le nove del mattino. Dopo una breve gestazione, sono nato alla fine di Luglio dello stesso.”
“Dove, per favore?”, insisto. “Ho bisogno che lei mi spieghi meglio.”
“Spiegare, lei dice. Non è affatto facile.” Si passa una mano sulla fronte.
“Quel Luglio, durante un pomeriggio, il mio cuore si è fermato e poi ha ripreso a battere. Mi trovavo sul marciapiede di una stazione ferroviaria, c’era gente che scendeva da un treno appena arrivato, caldo e sole, l’emozione di un’attesa. E così sono nato. O rinato, se preferisce.”
Forse comincio a capire. In quel periodo deve aver subito un infarto, un arresto cardiaco, e non ha ancora superato il trauma. Piuttosto banale, alla fine dei conti.
Ride; sommessamente, ma ride.
“Lei, dottore, salta troppo velocemente alle conclusioni.”
Come fa a sapere quello che penso?
“Scusi, io DEVO trarre delle conclusioni da quello che lei mi dice. Altrimenti che cosa è venuto a fare, qui da me?”
“Dottore, è sicuro che io sia venuto da lei, e non il contrario? E’ sicuro che lei non sia da me, perché l’ho chiamata io?”
Non va bene. Sta cercando di confondermi, di prendermi la mano. Provo a dargli corda, e vediamo cosa succede.
“Si spieghi, per favore. A questo punto, sono curioso di capire.”
“Dottore, lei ci crede agli incontri che cambiano la vita? No, vero? Lei si appoggia alle sue conoscenze razionali, alla sua esperienza, alla sua capacità di analisi e di controllo. Non se la prenda a male, non è un insulto. Anch’io ero così, ma ora è tutto diverso, da quando sono nuovamente nato. Sono nato grazie ad un incontro.”
“La sua realtà è cambiata, da quel giorno?”. Tento di farlo aprire, di fargli raccontare.
“La vita, dottore. La realtà fa parte di qualcosa di più grande, che è la vita. Che cos’è la realtà, poi?”
Fa una pausa.
“Non credo che riuscirò a spiegarmi, dottore, nemmeno con lei. L’ho fatta venire qui per nulla, mi spiace.”
“Guardi che è lei a essere da me.”
“Certo, nella sua realtà.” Sorride di nuovo.
“La mia, dottore, è qui dentro.” Si tocca il petto.
“Almeno per metà; l’altra metà, quella più importante, è lontana da qui, ma nello stesso tempo è così vicina che se chiudo gli occhi e allungo una mano, posso toccarla. Conosce quella vecchia canzone, quella che poi era stata cantata anche in italiano, con un testo un po’ adattato? ‘La metà del paradiso è pur sempre paradiso’, diceva.”
“Lei, dottore, nella mia realtà, non esiste. E’ un pensiero, un’immagine, una fantasia. Forse, un bisogno. O forse una rappresentazione della mia realtà precedente. Credo sia ora di salutarci.”
Sorride ancora, e mi fa ciao ciao con la mano. Mio malgrado, mi sorprendo a rispondergli.
E vedo. Vedo il mio braccio che sta svanendo.
Mi guardo intorno.
Il mio studio, il mio magnifico studio, si sta dissolvendo come nella scena finale di un film.
Insieme a me.
Aveva ragione lui…