...allora, Roberto raccontava di un evento che in paese tutti i bambini attendevano sempre con il solletico allo stomaco:
il LUNA PARK
la festa che solo in paese poteva essere sognata per mesi e vissuta con ansia.
Non sapeva spiegarsi perché, ma le sagre di campagna avevano una marcia in più.
Quella ventata di fiera dei balocchi portava via il grigiore di gesti e passi sempre uguali a
se stessi. Allontanava la nebbia della pianura e dava una scossa agli animi sonnacchiosi
degli abitanti.
Sembrava arrivare da un universo parallelo e spezzare la ripetizione di un ritmo insopportabile. Tutto era avvolto da magia. Perfino la superstizione del paese ben si adattava a quell'atmosfera di maghi e fattucchiere.
E poi giungeva in luglio, quando la scuola era ormai un ricordo e settembre lontano anni luce. Oppure a settembre, quando era cominciata da poco e l’impegno stava ancora in vacanza a oziare o a leccare il dolce zucchero filato.
Certo, a Roberto piaceva salire sui cavalli, sparare dagli ottovolanti e gridare terrorizzato nella stanza degli orrori. Ma niente lo affascinava di più dei preparativi.
Questi carrozzoni di viandanti in cerca del punto giusto dove impiantare la baracca.
«Da noi si diceva che fossero esseri senza anime, provenienti da altri mondi»
Che bello pensare a questi zingari in arrivo nel primo pomeriggio in piena arsura, quando i bambini del paese scorrazzavano di nascosto dalle mamme tra stradine clandestine di campagna dietro a lucertole impigrite dal sole.
Li chiamavano... i giostrari.
Roberto avanzava quatto quatto per rapire segreti da vendere poi agli altri a scuola l’indomani.
Degli zingari delle giostre si raccontava che non amavano farsi vedere in quel momento del giorno, che non gli piaceva essere sorpresi in fase di preparativi, che chiunque avessero scoperto a spiarli se ne sarebbero ricordati e guai poi a salire in giostra la sera. Sarebbe successo qualcosa di spaventoso.
Erano vendicativi.
E lui che non poteva fare a meno di attirare il pericolo si era avvicinato, arrampicato su un albero e da lì aveva osservato con interesse tutto il mistero che li avvolgeva.
Quella parte del giorno, aveva un sapore diverso dalla notte.
Gli uccellini cantavano, regnava la pace del caldo che costringeva i paesani a rinchiudersi in casa e tentare la fuga solo verso tardo pomeriggio.
Erano temerari coloro che rischiavano per poter vedere ciò che in altri momenti diventava facile e scontato.
Sembrava che certe creature del fiume aspettassero il sole allo zenit per muoversi indisturbate, come le bisce d’acqua, viscide, scivolose e vanitose, gli aironi cinerini dalle lunghe gambe affusolate, che indisturbati e ignari di occhi indiscreti parevano tanti Narcisi a contemplare la loro snella figura. Macchie scure guizzavano veloci appena sotto la superficie del fiume ma Roberto non voleva sapere cosa fossero.
Tutto era silenzio, solo l'umidità faceva rumore e le goccioline di sudore che scendevano copiose dal collo di Roberto.
Per lui il luna park era l’attesa e il giro di prova prima della messa in opera.
E così, lui si apprestava dal ramo di quell’albero ad assistere alle prove di rodaggio, come al circo o a teatro prima della grande serata.
Nessun brontolio dallo stomaco dei tendoni, un vocio ancora sommesso, un film muto senza molti colori.
Poteva quasi percepirne i pensieri e gli odori.
Gli specchi dei labirinti della Casa degli Spiriti buttati lì parevano quelli di casa sua, eppure per un attimo i brividi lo percossero tutto.
La mano sapiente del demiurgo li avrebbe trasformati e in quelli lui ci avrebbe visto le sue mille vite passate.
“Un biglietto per la casa degli spiriti grazie!”