Eravamo in un bar, una sorta di quei bar dove ci sono anche dei divanetti, a volte dei letti in mezzo alla stanza. Tu eri appoggiata al muro con la schiena, io semplicemente parlavo davanti a te. Ricordo ci fossero dei nostri amici, ricordo che suonavano del pianoforte, poco distante da noi. Alla nostra sinistra c'era l'ingresso, fuori nevicava, perché la gente entrava con queste giacche enormi ricoperte di polvere bianca. Come ti ho detto era un sogno, quindi ho poche immagini fervide che mi permettano di narrarlo tentando di seguire i rigori della logica. Dicevo, tu eri appoggiata al muro con un vestito nero e forse alla tua sinistra c'era una lampada, di quelle che riflettono direttamente sul soffitto, che dava luce alla destra del tuo viso e a tutta la stanza con gli altri. In sottofondo, oltre al pianoforte, potevi scorgere i comuni discorsi dentro a un locale: chi filtra, chi parla di affari con qualcuno che ha conosciuto che magicamente diventerà suo socio in qualche investimento, chi invece più esperto già si sussurrava qualcosa nell'orecchio trascinandosi magari poi in bagno. Mi ha sempre affascinato conoscere una persona minimamente e scoprirla intimamente la prima sera. Era entrato un gruppo di due ragazze, avevano ballato un po', e poi io e te eravamo in una situazione ambigua, potevamo essere sia due amici che due che scopavano, non si capiva troppo bene in quel momento.
Così facendo una ragazza venne a chiedermi se volevo ballare e tu le risposi che qui in giro c'era la mia ragazza e che non sarebbe stata una bella idea. Ma la mia ragazza non c'era e io e te non eravamo fidanzati, e neanche avevo mai pensato di scoparti. Non so cosa provassi per te, non lo so attualmente, forse non lo saprò. Fatto sta che tu, probabilmente presa in contropiede dalla richiesta delle ragazze nei miei confronti, cominciasti a sorridere di più, a diminuire le distanze, messo com'ero tra alcol ed erba notavo tutto, avrei notato anche se qualche tua ciglia si fosse scambiata con un'altra durante uno sbattimento degli occhi. Mi sbattevi i tuoi sorrisi in faccia come degli schiaffi, senza a volte neanche avvertire, avresti potuto dirmi con gli occhi "guarda che tra poco sorrido, aspettati 5 secondi di shock emotivo dopo aver visto il mio sorriso da così vicino". Invece no, non dicevi un cazzo, sorridevi e io finivo in blackout, in fottuto blackout, perdendo il filo del discorso. Tant'è che, dopo diversi sorrisi e il mio totale annichilimento, neanche fossi stato tutta notte con dello Xanax, tu mi prendesti le mani che stavano a penzoloni e a me venne spontaneo baciarti: tu non mi avevi mai avvertito dei tuoi sorrisi, io avrei potuto non avvertirti nel baciarti, nella mia mente aveva senso. Fu un bacio strano devo dire, diverso dagli altri. È comunque il bacio di un sogno, deve sicuramente avere più poesia. Ricordo che chinasti leggermente la testa verso la tua sinistra, e di conseguenza la mia destra, quasi a dover inseguire io il tuo labbro inferiore, che con la tua espressione degli occhi diceva solo "vieni a prendermi".
Un ulteriore dettaglio che rapì la mia testa fu il fatto che io mi girai un attimo verso sinistra per vedere chi stesse entrando e scorsi addirittura una mia collega, che infatti da buona bigotta com'è sussurrò al marito "guarda quelli come si baciano". Io d'istinto, dopo aver sentito quelle parole, mi girai e la salutai con la nonchalance più possibile.
Tu non mi facesti neanche finire di dire "ciao" che mi riprendesti la faccia, dalle mie mascelle che sono anche abbastanza grandi, ottimali per una presa delle tue mani, e qualche millesimo prima di trascinare le mie labbra sulle tue dicesti "vieni qua" mentre sorridevi, tirandomi l'ennesimo schiaffo emotivo al quale il mio cervello probabilmente non avrebbe retto.
In quel momento, consapevole di aver visto praticamente tutto il bello che potevo vedere, mi svegliai.