Erano diciotto ore che lo tenevano sotto torchio. In quella stanzetta squallida di un edificio anonimo della dogana. Le pareti erano tutte sgretolate, lasciando intravedere sotto l’intonaco nudo. E poi quella luce accecante intermittente, proiettata di continuo sulla sua faccia. Quella faccia che ormai, dopo tutto quel tempo, era diventata paonazza da sembrare uno strofinaccio inumidito, piena di lividi e il labbro inferiore ancora sanguinante. Le percosse che gli avevano inflitto sul viso nelle ultime ore avevano reso il suo volto irriconoscibile. Adesso, la sua faccia sembrava uno scolapasta.
Insistevano quei due per il suo sconfinamento. Volevano sapere perché l’aveva fatto. E se era, come loro sospettavano, una spia. Glielo aveva detto mille volte, a quei due piedipiatti ottusi senza cervello, di aver oltrepassato il confine della propria contea per sbaglio. Si era inoltrato più del dovuto, passeggiando, senza rendersi conto di aver superato il limite consentito. Infatti stava tornando indietro proprio quando quei due l’acciuffarono per sbatterlo dentro la loro macchina e portarlo in quella stanzetta. Imprecò da subito: - Non ho fatto niente! Sono un onesto cittadino! Non ho fatto niente! -. Sarebbe bastati pochi secondi in più, è sarebbe tornato sui suoi passi per non farsi catturare da quei due gendarmi della malora.
L’avevo prelevato con la forza. E dal primo momento si erano già fatti un film mai visto su di lui: primo tempo, secondo tempo, gran finale e in mezzo anche un bell'intervallo. Lo accusavano di castelli costruiti in aria ad hoc, secondo loro, per fargli sputare il rospo. Ma lui nelle ultime ore riusciva a sputare solo sangue dalla bocca, per tutte le percosse inferitegli. Diceva la verità, ma quei due non gli credevano. Non credevano a una sola sua parola! Credevano solo alla sceneggiatura del loro film immaginario. Cioè che lui era sconfinato per un motivo ben preciso, aveva un piano prestabilito ed era una spia, volevano solo sapere il suo mandante e cosa stava architettando la sua mente diabolica. Tutto il resto per loro era scontato. Insomma, volevano sapere ciò che si era prefissati di sapere su di lui, senza tenere conto della sua personalità, della sua esistenza e della sua verità. Del resto, era una semplice procedura d’ufficio. Dovevano, per quieto vivere, accertare che le cose fossero come loro sospettavano, nelle loro fragili menti di sbirri incapaci di vedere oltre il proprio punto di vista, ottenebrati dai codici imparati nottetempo a memoria per superare il concorso che li ha fatti poi arruolare.
Prima di poter chiamare il suo avvocato poteva ancora essere spremuto come un limone, fino all’ultima goccia, per altre 24 ore. Così imponeva lo stato di fermo per sconfinamento. Ancora 24 ore maledette! 24 ore! Ancora 24 ore davanti a lui più le 18 ore già passate. Erano un’infinità di minuti e secondi. Avrebbe voluto contarli uno per uno quei secondi, per farli scorrere tutti davanti a lui al raggiungimento delle 24 ore.
24 ore, poi, non sono l’infinito. Ma in quella circostanza in cui si trovava, ogni secondo sembrava un macigno. Sembrava che il tempo si fosse fermato. Ogni secondo si dilatava all’infinito. Sembrava che ogni istante durasse un millennio. Il tempo quando non vuole scorrere, in alcune circostanze, resta immobili in tutta la sua dilatazione temporanea. Con tutto il suo peso incombente.
Come avrebbe potuto resistere altre 24 ore con quei due esaltati e scalmanati piedipiatti? A modo loro, forse, quei due credevano di aver preso il criminale più pericoloso sulla faccia della terra. Era solo un loro abbaglio! Non una parola o un loro pensiero corrispondeva alla verità, ma questo lo sapeva solo lui.
Forse, non sarebbe sopravvissuto con quei due pazzi carnefici di sbirri. Ancora poche ore è avrebbe tirato le cuoia. Era entrato in una dimensione di terrore, mettendo i piedi in quella stanzetta. In un istante, o meglio per pochi passi, la sua vita stava precipitando. Precipitando in un baratro senza fondo. Se solo avesse fatto più attenzione nello sconfinare non si sarebbe trovato nella situazione in cui si trovava.
Ancora pochi minuti e sarebbe svenuto per l’ennesima volta, e quei due a tiragli un secchio d’acqua sulla testa per farlo rinvenire. Sul pavimento sottostante i suoi piedi si stava creando un leggero strato di acqua, frammista a bava, sangue, muco e orina. Eh sì, si era pisciato nei pantaloni già un paio di volte, ma quei due incurante per mortificarlo ancora di più alle sue continue richieste non avevano voluto che andasse in bagno. Anzi gli gridavano quando chiedeva di andare per un attimo alla toilette: - Confessa! Confessa! Verme! Confessa verme schifoso! Perché ha oltrepassato il confine? -
- Non ho fatto niente! L’ho solo oltrepassato per sbaglio! -