Giovanni, Giò per tutti, passava le sue giornate sul balcone di casa; gli piaceva osservare con molta attenzione le persone che passavano in strada, a volte ingannava il tempo occupandosi delle piante, togliendo le erbe spontanee dai vasi. Giò si sentiva a suo agio in casa, la sentiva sua, ne conosceva ogni più nascosto angolo; d’estate sceglieva sempre il posto più fresco, d’inverno era sempre in prima fila davanti alla stufa.
Era il 24 ottobre quando a casa arrivò il nuovo ospite. Lo chiamammo Raffaele, come il santo del giorno, ma tutti lo avrebbero chiamato sempre Lello. Giò non fece mistero del suo nervosismo, fu molto contrariato di questa nuova presenza e il suo primo gesto fu quello di dargli una manata. Poi, essendo stato rimproverato per la cattiva azione, si mise in disparte per il resto del giorno, osservando da lontano l’allattamento e le coccole che venivano profuse al nuovo arrivato. Ben presto però, Gio’ abbandonò questo suo atteggiamento e, incuriosito, iniziò ad avvicinarsi e ad accennare anche lui a qualche timida carezza. Quando Lello iniziò a essere più indipendente, Giò lo coinvolse nei suoi giochi e nelle sue attività: giocavano spesso con la palla e passavano del tempo al balcone a guardare i passanti, oppure sul terrazzo a rincorrere e spaventare i colombi. Ben presto Giò rese complice Lello anche delle sue malefatte, come quella volta che, insieme, rubarono due salsicce che mia madre aveva preparato per mio padre e le mangiarono di nascosto. Le ruberie alimentari e le malefatte non erano una rarità, mia madre però sapeva come scoprire chi fosse tra i due il colpevole: era sufficiente condurre Giò nel luogo del misfatto, se lui si impuntava come un mulo e cercava di scappare, non c’erano dubbi che a commettere la marachella era stato lui, per cui veniva immediatamente punito a dovere. Se invece Giò si lasciava portare senza reagire, allora il colpevole era Lello, che avrebbe ricevuto la giusta punizione.
Un giorno Giò scavalcò il muretto che divideva il nostro terrazzino da quello dei vicini e si introdusse nella loro casa. Lì conobbe il suo primo amore, una rossa con gli occhi verdi della quale non sapemmo mai il nome, per cui la chiamavamo “La Rossa”. A volte La Rossa ricambiava le visite. Per un po’ non si vide più e quando si ripresentò, con nostro stupore, venne accompagnata da suo figlio piccolo. Poi i vicini, evidentemente stanchi delle continue visite di Giò, montarono una spessa rete sul muretto divisorio, mettendo la parola fine alla relazione tra Giò e La Rossa.
Giò e Lello erano molto legati tra loro, erano diventati come due fratelli, Giò era il fratello maggiore Lello il piccoletto, infatti per noi, anche da adulto, è sempre stato Lelluccio, il piccolo della casa. Ognuno di loro mostrava chiaramente le sue preferenze in famiglia: Giò aveva come riferimento mia sorella Anita e Lello me, ma entrambi riconoscevano l’autorità di mia madre e le portavano rispetto. Mia madre, invece, anche se non lo ha mai ammesso, aveva un debole per Lello, anche se era Giò quello che la divertiva di più; la mattina presto la svegliava e le ricordava che era ora di alzarsi per preparare la colazione a tutti.
Un giorno Giò, forse per avere un’altra prospettiva della strada o forse per incoscienza, si arrampicò sulla ringhiera del balcone. Lello lo guardava dal basso stupito, mentre la gente in strada gridava spaventata. Mia madre accorse per capire il perché di quelle grida e vide Giò seduto comodamente imperturbabile. Senza gridare ma con voce ferma mia madre gli ordinò di scendere immediatamente e lui le ubbidì senza fare storie, restando indifferente al giusto rimprovero.
Giò e Lello rimasero molto uniti, raggiunsero una veneranda età, vivendo entrambi per quasi un quarto di secolo.
Quando penso a loro immagino che stiano ancora giocando con un gomitolo di lana nel paradiso dei gatti.