La prima volta che salii su un autobus fu nel settembre del 1983. Avevo 11 anni e per me cominciavano le scuole medie. Ero un ragazzo introverso, magrissimo con i capelli neri e ispidi che non stavano mai come li volevo nonostante mi riempissi la testa di brillantina.
Vivevo con i miei genitori in periferia. Mio padre lavorava in fabbrica e mia madre era casalinga. Non eravamo una famiglia benestante ma avevamo un tenore di vita decente. Mio padre faceva molte ore di straordinario per pagare le bollette e l'affitto della casa. Fin dall'età di 13 anni aveva sempre lavorato, ma in lui traspariva un certo malessere di fondo, forse perché aveva da sempre vissuto una vita fatta di privazioni. Sognava che un giorno sarebbe riuscito a comprarla una casa ma nel frattempo pagava l'affitto alla signora Bruna, una donna di mezza età, grassa e piuttosto rozza che veniva a riscuoterlo nei giorni più disparati ed ad orari spesso inusuali.
Entrava sempre con la sigaretta accesa e riempiva le stanze di fumo, poi si sedeva per riprendere fiato perché le scale, una rampa di appena dodici scalini, le facevano venire l'affanno. A volte restava per ore a parlare dei suoi problemi familiari tra un bicchiere di vino e l'altro fino a che semi ubriaca poggiava la testa sul tavolo di cucina e si addormentava. Mia madre non parlava quasi mai, ascoltava i problemi di tutti in maniera passiva ma con tutti, me compreso, manteneva una sorta di distanza.
Nell'appartamento di fronte al nostro viveva Marco con i suoi genitori. Io e Marco eravamo coetanei e ci conoscevamo fin dai tempi dell’asilo. Marco era un ragazzo alto, robusto , con le mani enormi, gli occhi azzurri e i capelli lunghi. Era un tipo estroverso ed aveva una risata che lo rendeva simpatico a tutti. Suo padre era camionista, la madre bidella in una scuola elementare. Girava voce che i due vivessero separati in casa. Il padre di Marco era conosciuto come un gran donnaiolo con un carattere irascibile, la madre invece era una specie di martire succube del marito. Marco aveva un carattere esuberante e finiva spesso per fare a botte con qualche coetaneo. Con lui mi sentivo tranquillo era sempre pronto a difendermi se qualcuno voleva attaccar briga. Marco era il mio migliore amico.
“Can you show me where it hurts?”. COMFORTABLY NUMB (Pink Floyd)
Mio padre aveva una vecchia chitarra che era rimasta a prendere polvere per anni senza che nessuno la toccasse. Improvvisamente mi venne voglia di imparare a suonarla. Dopo qualche mese di prove decisi di mettere su un gruppo rock. Io suonavo la chitarra e Marco cantava. Non restava che trovare un bassista e un batterista. Mettemmo una inserzione su una rivista musicale.
All'annuncio risposero in due. Il bassista si chiamava Giorgio era un tipo buffo, basso con la faccia tonda. Suonava da pochi mesi ed era un fan sfegatato di Sid Vicious dei Sex Pistols. Antonio il batterista portava degli occhiali spessissimi ed era fissato con le leggende metropolitane sui musicisti famosi del tipo: “Lo sapevate che Paul Mc Cartney è morto nel 1965 ed è stato sostituito da un poliziotto canadese di nome William Campbell? “. Beh, allora è stato William Campbell a scrivere Let it Be! Il gruppo non durò molto, il tempo di un unico concerto ad una festa di paese. Fu il primo ed ultimo concerto, io caddi dal palco e mi ruppi una gamba mentre eseguivo l'assolo di Confortably numb dei Pink Floyd.
“On divague; on se sent aux lèvres un baiser qui palpate là, comme une petite bête..” (ROMAN, Arthur Rimbaud)
Marco cominciò a fumare marijuana e ad uscire con Olga, una ragazza che frequentava il liceo. Olga non era molto carina ma era famosa perché non si faceva troppi problemi con i ragazzi. Avevano preso l'abitudine di venire a casa mia. Si chiudevano in camera mia e facevano i loro comodi. Un giorno in segno di riconoscenza per avergli prestato la camera Marco convinse Olga a venire a letto con me. Io non avevo mai baciato una ragazza fino ad allora. Ero troppo timido con le ragazze, spesso mi sentivo a disagio e poi avevo sempre l'impressione di non piacere a nessuna. Con Olga infatti non successe niente, la pregai comunque di dire a Marco che era andato tutto a gonfie vele per non fare una figuraccia e per lui quella fu la mia prima volta. L’ultimo anno di liceo egli abbandonò gli studi. A casa le cose non andavano bene, i suoi genitori litigavano sempre più spesso a causa delle scappatelle del padre e lui stava fuori quasi tutto il giorno a vagabondare per la città. Il padre riuscì comunque a trovargli un lavoro presso un amico meccanico. Io mi diplomai faticosamente strappando un 40 all'esame di maturità. Dopo la maturità decisi comunque di iscrivermi all’Università, alla facoltà di lettere. Sull’autobus conobbi Francesca una ragazza con i riccioli biondi e gli occhi verdi. Aveva un sorriso dolcissimo. Saliva alcune fermate dopo la mia ed ogni volta io le sorridevo timidamente ma non avevo il coraggio di parlarle e pensavo mi ritenesse un idiota perché tutto quello che riuscivo a fare era sorriderle. Ma una mattina fu lei a rivolgermi la parola. Mi disse che avevo un bel sorriso. Spesso passeggiavamo lungo il fiume che tagliava in due la città e parlavamo dell'ultimo film che avevamo visto o dell'ultimo libro che avevamo letto. Io amavo leggerle le poesie di Rimbaud e lei mi prendeva in giro per la mia ridicola pronuncia francese. In quel periodo leggevo molto e mi divertivo a scrivere dei brevi racconti che si ispiravano alla gente comune che prendeva l'autobus. Le cose tra noi continuarono ad andare bene ancora per un po’. Ma a volte i sentimenti mutano come mutano le stagioni, cosi velocemente che non si ha nemmeno il tempo di rendersene conto. Francesca cominciò ad allontanarsi, divenne fredda, distaccata. Io avrei voluto chiederle il motivo di questo distacco , ma non riuscivo a farlo. Non esprimevo mai troppo i miei sentimenti e poi avevo paura che lei volesse lasciarmi.
“Ogni storia ha la sua conclusione stessa illusione” FAREWELL (F.Guccini)
Fu proprio nel momento in cui Baggio sbagliò il calcio di rigore nella finale di coppa del mondo del 1994 tra Italia e Brasile che Marco mi confessò di essere stato a letto con Francesca. Il Brasile divenne campione del mondo ed io mi sentivo di merda, e non certo per la partita. Mi sforzai di trovare il momento in cui Francesca aveva cominciato a provare qualcosa per lui ma non trovai una risposta. In fondo non mi ero mai chiesto se lei fosse davvero felice con me.
Cercai di evitare Marco nonostante vivessimo nello stesso condominio. Con Francesca non ci fu un vero e proprio chiarimento, sapevo che tra lei e Marco non c’era stato più niente, ma non mi consolava di certo. Lei riuscì solo a dire che le dispiaceva e che si sentiva in colpa per quello che era successo. Io le dissi che la colpa era solo mia perché avevo creduto che la nostra storia fosse speciale, sperando che lei mi rispondesse che era davvero una storia speciale. Ma non lo fece.