In me è l’anima a decidere cosa fare, è la mia padrona, in lui è la realtà a dominare sui sensi. Le sue decisioni sono dettate dalla realtà tangibile e vera, le mie dall’immaginazione, dai sogni, belli o brutti che fossero. E’ questo che pensai.
Lui non immagina nulla, i suoi sensi rispondono solo alla realtà in cui si trova immerso, di volta in volta. Non conosce gli artifici della mente. La sua natura gli ha dato una forma, che lui non ha mai cercato di mutare, divenuta definitiva ed eterna: è, in effetti, quello che sembra, sente una compatta e immutabile consapevolezza della vita che, per lui, è anch’essa immutabile ed eterna. Nelle sue vene si agita un formicolio di vita che si alimenta da un turbine di atomi di energia, ognuno dei quali si muove nella stessa direzione e alimenta un’irresistibile volontà di potenza che lo spinge ad affermarsi nello spicchio di mondo che lo avvolge: come la bollicina dello champagne che lotta per venire a spumeggiare alla superficie, o come il cieco istinto sessuale – la forza vitale che fluisce dai labirinti del suo sangue – che lo spinge ad accoppiarsi senza impossessarsi del suo oggetto, permanendo sornione e meschino.
La sua natura è il suo destino, tracciato da impulsi oscuri, perso nella marea di eventi che ciclicamente si ripetono immutabili, a volte scossi da fenomeni imprevisti, che turbano e scuotono la tendenza innata a combatterli, per ritornare alle sue abitudini che sono poche e sempre le stesse, in un mondo molteplice che gli è totalmente sconosciuto.
Un fenomeno imprevisto era il suono di quello zufolo che sgorgava dolce: autentico tripudio carnascialesco che sopisce il mare agitato di desideri, involontario capriccio che passa per la testa senza turbare con artifici il naturale fluire della vita, ironico e gioioso gioco noncurante e aperto a tutti.
Quel gatto non sapeva di essere fuori posto – questo è il punto - e, proprio per questa sua inconsapevolezza, egli è, anche se non sa di essere, il suo spirito incolore vive d’immagini precise, grigio su grigio, incurante del falso mondo dell’apparenza fantasmagorica della vita umana, il suo cammino non lo conduce negli iridescenti paesaggi della fiaba, ma per le aspre vie del mondo in cui si perde senza memoria e, soprattutto, senza padroni.
Non pensa, fa, e agisce rispondendo al suo istinto. Castelli in aria? Macché. Gli manca la cognizione del tempo: il futuro è oggi.
Il reale, per esso, non sono i concetti astratti, quelli semplicemente immaginati o artificiosamente costruiti, no, no, per lui la realtà è lui stesso, la sua e irrinunciabile individualità, non lui poiché gatto, appartenente alla specie dei gatti, ma proprio lui e solo lui. Lui, senza catene e senza recinti ideologici.
Non ci pensa proprio a rivestire di aspetto bello le ombre fisiche e nere che gli passano davanti, anzi. Scantona, ecco quello che fa. Agisce: nel senso che passa ad altro. Niente figurazioni da teatranti o invenzioni oniriche. Lui non sa niente e non ha letto niente, guarda le cose - e basta, con esse non ha alcun rapporto, è la sua intangibile individualità che conta. Sì, è solo un povero gatto e vive la molteplicità che lo circonda con beato e molle distacco.
Proprio così: quel fagotto di ossa, carne e sangue, ricoperto di pelo, filtra, inconsapevole, le gelatinose menzogne della vita, fugge la retorica sentimentale, la pappa dolciastra del cuore con la quale l’uomo inganna tanto volentieri gli altri e inganna se stesso. Quel gatto (come tutti i gatti) smaschera il vuoto su cui poggia la realtà e guarda senza paura al vuoto che lo circonda ignaro del baratro che lo attende.
La sua reazione di fronte al ragazzino che zufolava è identica a quella che avrebbero altri gatti come lui: essa è il frutto di un’osservazione diretta, inconsapevole, arcaica e, in fondo, banale.
Di fronte allo stesso fatto per noi umani sarebbe impossibile una sensibilità comune: ognuno è impastato delle sue consapevolezze accumulate nel corso del tempo, ognuna diversa dall’altra, più spesso inconciliabili.
Bello sarebbe se la nostra memoria, i ricordi, si sciogliessero nel sogno, e divenissero dolcemente vaghi e annegassero in un’infinita malinconia di pensieri, sempre più incerti, spenti e poi morti, perduti in un buio senza ricordi. Solo così saremmo capaci di guardare le cose come se fosse la prima volta. Come quel gatto.
Invece no: siamo coscienti. Sempre. In ogni occasione.