I pensieri di Florian erano del tutto lineari. Aveva un obiettivo preciso da raggiungere: portare il suo tir a Gioia Tauro entro una certa ora e non poteva assolutamente permettersi il benché minimo ritardo. Era in linea con la tabella di marcia ma guidava ininterrottamente da più di diciotto ore. Tra poco sarebbe giunto alla stazione di servizio e non poteva rinunciare a fermarsi qualche minuto: avrebbe agevolmente recuperato grazie al potente motore in dotazione alla sua “bestia”.
Ecco: - mille metri all’area di servizio -
Mise la freccia e parcheggiò il mostro. Scese con un salto dalla cabina ma le ginocchia non offrirono la consueta ammortizzazione e per poco non si ritrovò disteso in terra. “Cazzo! Sto diventando vecchio” pensò, riguadagnando faticosamente la posizione eretta. Si stiracchiò con cura cercando di rimettere in ordine le articolazioni e si avviò verso i bagni. Dopo essersi sciacquato il viso nel vano tentativo di allontanare il sonno, entrò nell’autogrill e ordinò un panino con salsiccia e una birra. Nel volgere di pochi minuti le birre divennero due, poi tre. Gli pareva di essersi ripreso ma appena si mise in piedi gli occhi si fecero pesanti e reclamarono un po’ di riposo. No, non se lo poteva permettere. Arrivare anche solo con qualche minuto di ritardo significava perdere il lavoro; quel lavoro di merda che comunque gli consentiva di guadagnare anche bene a patto, si capisce, di non fare troppe domande e, soprattutto, di non sgarrare sugli orari di consegna. Prese un caffè e uscì dal locale.
Tornò in bagno, tirò fuori dalla tasca un piccolo involucro e si accinse ad un rituale che stava diventando sempre più frequente: fece cadere da una bustina un piccolo cumulo di polvere bianca sul bordo del lavabo, con l’aiuto della carta bancomat la dispose a striscia e la tirò sul dal naso con una cannuccia. Ah, ora si sentiva capace di tutto! Il sonno avrebbe potuto aspettare ancora per molte ore; diede un’occhiata all’orologio e si accorse che aveva perso più tempo del previsto ma la cosa non lo turbò affatto: era sicuro che avrebbe portato la sua “bestia” a destinazione per l’ora stabilita! Saltò con ritrovata agilità in cabina e, quando girò la chiave facendo ruggire il motore, lo investì un’ebbrezza smodata di onnipotenza; cacciò un urlo sguaiato pestando con forza sull’acceleratore, e fiondò quel mostro fuori dall’area di sevizio.
Agnese e Federico avevano pranzato al lido. Contrariamente al solito, avevano scambiato poche parole: lui si chiedeva ancora che valore dare a quella relazione e lei, che pure ne aveva intuìto da tempo il disagio, non voleva turbarlo ulteriormente mettendolo sotto pressione. Avrebbe atteso, non sapeva ancora per quanto, che fosse lui a parlarle dei suoi dubbi. Non faceva troppo caldo ma entrambi non avevano voglia di tornare a stendersi sotto l’ombrellone. Agnese, allora, propose di rientrare in città; lui ne fu sollevato ma, nel tentativo di dissimularlo, le chiese se, invece, non le sarebbe piaciuto, più tardi, fare un altro bagno. “Ci annoieremmo...” disse lei.
Si misero in auto con poco entusiasmo e calò tra loro un’inedita coltre di sottile diffidenza. Desideravano essere già a casa e sapevano che i circa quaranta minuti di viaggio sarebbero stati alquanto penosi. Federico si riprometteva in cuor suo, una volta giunti, di fare una passeggiata solitaria per i vicoletti della città vecchia sperando di schiarirsi le idee, mentre Agnese non vedeva l’ora di buttarsi sul divano per riordinare i pensieri. Arrivati sulla statale, a Federico venne naturale prendere una velocità sostenuta in modo da abbreviare i tempi del ritorno in città e sottrarre entrambi, il prima possibile, alla pesante atmosfera che si era creata. Agnese, intanto, aveva tirato giù lo schienale e fingeva di sonnecchiare, nascosta dietro le grandi lenti degli occhiali da sole. Gli voleva un gran bene ed era certa che anche lui l’amasse; tuttavia era consapevole che difficilmente avrebbe abbandonato la sua brillante vita di affermato intellettuale, in una stimolante capitale europea, per immalinconirsi in un ambiente provinciale sia pure al fianco della donna che amava. E, del resto, era questo che lei avrebbe desiderato? Sarebbe stata capace di tanto egoismo da sradicarlo dal suo mondo e costringerlo a diventare un’altra persona? Una persona che lei, con ogni probabilità, non avrebbe più amato? L’amore immaturo, come uno specchio deformante, ci rimanda immagini distorte che spesso traggono in inganno il cuore. Agnese non desiderava cadere in questo tranello che, talvolta, i sentimenti ci tendono. Lei amava Federico, questo Federico! E non avrebbe permesso al suo amore di farne una persona diversa.
L’auto procedeva veloce. Troppo veloce perché i freni potessero avere il tempo di bloccarla prima che quell’enorme massa metallica si ponesse sulla traiettoria: fu un impatto violento. Federico non ebbe il tempo di realizzare ciò che stava per accadere; Agnese ebbe un sussulto allo stridore della frenata ma fu l’ultima cosa che sentì. Il missile di Florian li aveva colpiti in pieno.