Giovanna. Si chiamava Giovanna, una bambina deliziosa. Capelli corvini a caschetto, grandi occhi cinesizzanti che mettevano in risalto tutta la sua furbizia, era senza ombra di dubbio la bambina più bella della scuola. L’avevo appunto conosciuta sui banchi della prima elementare dell’Istituto delle suore Pallottine del mio paese. Me ne innamorai fin dalla prima elementare da quando, il primo giorno di scuola, si sedette vicino a me, secondo banco della terza fila. Ne ero affascinato, la guardavo come si può guardare una statua su un piedistallo del British Museum di Londra. Frequentammo i cinque anni delle scuole elementari sempre vicini di banco, rivolgendoci ogni momento sguardi languidi piacevolmente contraccambiati da entrambi. Fu poi la volta delle scuole medie, ed essendo il nostro paese molto piccolo, dovevamo recarci a quello vicino, distante una manciata di chilometri, con mia grande felicità dal momento che avrei fatto anche il tragitto da e per la scuola insieme a lei. Per motivi logistici, eravamo vicini di casa, i nostri genitori chiesero alla Preside di inserirci nella stessa classe, così da poter essere facilitati nelle nostre funzioni scolastiche. E così fu, tutte le mattine ci incontravamo alla fermata del bus e dopo le ore di lezione si ritornava insieme. Spesso trascorrevamo interi pomeriggi insieme, adducendo come scusa lo studio della matematica. Il tempo passava in fretta, i giorni volavano e arrivarono così gli esami di licenza media. E fu in quel periodo che arrivò il primo bacio, complici i famigerati esercizi di matematica ed una visita medica dei genitori di Giovanna. Rimanemmo soli in casa di lei, ci sedemmo sul divano durante una pausa di studio, i nostri corpi vennero a contatto ed improvvisamente ci ritrovammo abbracciati con le labbra appiccicate. Non so dire con esattezza di chi fu la prima mossa, sicuramente la volontà fu di entrambi. Mi sembrò di aver toccato il cielo con un dito, l’avevo baciata! Quella notte non riuscii a dormire, il mio pensiero rimase a quel pomeriggio, a quel preciso momento durante il quale le nostre labbra si incontrarono. Nei giorni che ci separarono dagli esami non ci furono altre occasioni, e ci rimasi molto male perché era stato molto bello, ma forse fu meglio così, altrimenti ne avrebbe risentito sicuramente la preparazione agli esami. Nei giorni a seguire feci molta fatica a concentrarmi nello studio, ma riuscii ad ottenere ugualmente un ottimo risultato, come del resto l’ottenne Giovanna. Quella che venne fu l’estate più bella della mia vita, trascorsa spensieratamente insieme a lei, mare, sole, sole, mare, eravamo felici. Purtroppo le vacanze giunsero al capolinea e come ogni fine estate ritornammo alle prese con la scuola. Quell’anno le nostre strade si divisero, Giovanna si iscrisse al liceo scientifico, mentre io preferii l’istituto per geometri, di conseguenza non saremmo stati più vicini di banco. Ci rimase però il viaggio in treno per arrivare alle nostre scuole. In quei cinque anni il nostro amore si rafforzò enormemente, ormai ne erano a conoscenza anche le nostre famiglie. Il nostro amore e lo studio si conciliavano perfettamente, tant’è che entrambi superammo gli esami di maturità con il massimo dei voti e i nostri genitori, come premio, ci autorizzarono una settimana di vacanza da soli. Toccai il cielo con un dito, una settimana io e Giovanna da soli! Si realizzava così il nostro sogno: visitare Parigi, la città degli innamorati. Fu una vacanza meravigliosa, Tour Eiffel, Champs Elisée, Montmartre, ogni luogo decine di foto e altrettanti baci. Dopo quella settimana da favola continuammo le nostre vacanze al mare come sempre. Le cose spiacevoli stanno però sempre dietro l’anglo, pronte a colpirti. Era un pomeriggio d’agosto quando squillò il mio cellulare. Il numero lo ricordavo a memoria, era Giovanna. Piangeva. Le chiesi tutto preoccupato cosa fosse successo, ma il forte singhiozzare le impediva quasi di parlare e farsi capire. Dopo qualche minuto riuscì a dirmi a stento ciò che non avrei mai voluto sentire. Suo padre, per motivi di lavoro, era stato trasferito e quindi tutta la famiglia l’avrebbe seguito. Destinazione Kalamazoo, Michigan Stati Uniti D’America. Mi si gelò il sangue, sembrava fossi stato investito da un TIR. Non so quanto sia durato il mio silenzio, ma dopo essermi ripreso le dissi che l’avrei raggiunta a casa sua. Mezz’ora più tardi eravamo seduti sul divano con gli occhi rossi e lucidi. Sarebbero partiti per gli States il 29 di Agosto, meno di un mese. In quei pochi giorni rimasti cercammo di prepararci psicologicamente al giorno della partenza e alla conseguente separazione, giurandoci reciproca fedeltà e promettendoci di rivederci al più presto. Arrivò purtroppo il giorno del distacco. Arrivammo di buon’ora all’aeroporto, il volo AZ 7606 Alitalia per Detroit era previsto per le 10.55. Mentre i genitori di Giovanna si avviarono a sbrigare le pratiche per il check in, io la stringevo forte a me cercando di consolarla e nel contempo di farmi forza io stesso. Venne il momento di andare, un saluto ai genitori, un ultimo abbraccio a Giovanna e li vidi allontanarsi dopo essersi lasciati alle spalle il Metal detector. Presi mestamente la via del ritorno e appena uscito dall’aeroporto il rombo di un aereo mi fece volgere lo sguardo in alto in direzione del mare e vidi un aereo Alitalia fendere il cielo e allontanarsi. La salutai ancora una volta. Tornai a casa e mi chiusi in camera, non volevo vedere nessuno, aspettavo solamente che Giovanna mi chiamasse per comunicarmi che il viaggio era andato bene. Cosa che avvenne poco dopo la mezzanotte con un messaggio sms: “Viaggio tutto ok. Sono stanca ci sentiamo domani. Mi addormentai pensando a lei. L’indomani mi svegliai abbastanza nervoso, avevo dormito poco e male. Mi tranquillizzai ben presto dal momento che nel pomeriggio avevo l’appuntamento su Skype con Giovanna. Fui contentissimo di rivederla, si era appena svegliata. Avevano dormito nella loro nuova casa messa a disposizione dalla società per la quale lavorava il padre. Continuammo così a vederci tutti i giorni, con notevoli difficoltà a causa del fuso orario e dei nostri impegni universitari. Lei frequentava un College, il Kalamazoo College ed era obbligata a determinati orari e regole ben precise, io avevo le mie lezioni universitarie al mattino, mentre di sera ero indaffaratissimo a lavorare in un ristorante della Capitale, in quanto avevo deciso di andarla a trovare quanto prima negli States, e avevo quindi bisogno di denaro. Ma a Giovanna non dissi nulla, volevo farle una sorpresa. Passarono diversi mesi prima di arrivare alla cifra necessaria per il biglietto d’aereo e il soggiorno. In questo periodo i nostri video incontri su Skype si diradarono, lo studio e il lavoro ci impegnavano molto, pensai. Meglio così, mi dissi, il nostro incontro sarà tanto più desiderato. Il giorno di Natale ci scambiammo gli auguri e restammo a parlare per diversi minuti, poi mi salutò dicendo che doveva andare al pranzo di Natale organizzato dall’azienda del padre. Anche a Capodanno ci fu un saluto fugace, così come nei giorni a seguire. Io mi rammaricavo di questa situazione, poi pensavo che di lì a qualche mese sarei andato a trovarla e mi tranquillizzavo. Infatti fissai la partenza per la metà di luglio, data in cui mi sarei liberato dagli impegni universitari. Avevo pianificato tutto nei minimi particolari, volo e hotel in città. Avrei trascorso dieci giorni con Giovanna. Il volo che mi avrebbe portato da lei era lo stesso che prese diversi mesi prima, AZ 7606 delle ore 10.55 per Detroit. Arrivò finalmente il giorno tanto desiderato, quello della partenza. Mi svegliai prestissimo e arrivai all’aeroporto di prima mattina, mi diressi subito al check in, sbrigai le formalità di rito e cominciai a girovagare per l’aeroporto, ora facendo colazione, ora comperando riviste. All’ora stabilita iniziarono le operazioni di imbarco dei passeggeri e alle 10.55, preciso come un orologio svizzero, il volo AZ 7606 per Detroit decollò. Mi sentivo già negli States, fra qualche ora avrei rivisto la mia Giovanna. Guardai fuori del finestrino e feci in tempo ad osservare l’immensa distesa del mar Tirreno prima che l’aereo bucasse le nuvole. Cominciai allora a sfogliare le riviste che avevo comprato all’aeroporto per ammazzare il tempo, ma dopo circa un’ora di volo venne proiettato un film, terminato il quale eravamo in pieno oceano, mare, mare e solo mare, il che mi preoccupò un pochino. Il resto del volo fu abbastanza noioso, fino al momento dell’atterraggio che avvenne in perfetto orario. Ero negli States. Seguii la fila dei passeggeri fino al recupero bagagli e poi alla dogana dove, dopo un severo controllo, ero diventato un turista a tutti gli effetti. Mi recai all’ufficio informazioni e chiesi indicazioni per Kalamazoo. Dopo qualche minuto ero su di un bus che avrebbe coperto i quasi duecento chilometri che mi separavano da Giovanna. Chissà che faccia avrebbe fatto nel vedermi, così all’improvviso, davanti alla porta della sua casa. Era una bellissima giornata, il sole batteva forte ed il paesaggio che si stava attraversando era veramente meraviglioso, strade larghe e grandi distese di verde, ville più o meno grandi, ognuna col suo bel giardino e l’immancabile piscina. Dopo due ore abbondanti arrivai a destinazione, fortunatamente il motel che avevo prenotato, il “KNIGHTS IN”, era ad un paio di isolati dalla fermata del bus. Mezz’ora più tardi ero immerso nella vasca alle prese con un caldo bagno defaticante. Dovevo sbrigarmi, la giornata volgeva al termine, il buio cominciava a far notare la sua presenza ed io ero intenzionato a trascorrere la serata con Giovanna al lume di candela. Mi avviai così con passo spedito, più per l’emozione che per la fretta, verso casa di Giovanna. Durante il tragitto comprai una bellissima rosa rossa a gambo lungo ed un biglietto dove scrissi una sola parola: “Marco”. Arrivato ad un incrocio presi a sinistra per Wheaton Avenue, la via dove risiedeva Giovanna. Ero emozionato. Contavo i villini per individuare in anticipo quello giusto, ma la fioca luce della strada non mi aiutava. “Eccola”, dissi quando in lontananza ne vidi una che rispondeva alla descrizione che mi aveva fatto Giovanna appena arrivata negli States, una casetta bianca circondata da un prato verde aperto che arrivava fin sulla strada. C’era un’auto sportiva ferma davanti al suo vialetto, all’interno si scorgeva qualcuno. Mi fermai un attimo, sudavo freddo e mi tremavano le gambe. Improvvisamente si accese una luce e la porta di casa si spalancò. Ne uscirono Giovanna e la madre. Ero ad una cinquantina di metri da loro, le mie gambe sembravano due blocchi di cemento. Era più bella di quando era partita, aveva abbandonato il caschetto per una chioma più lunga. Stavo ancora ammirandola quando, dopo aver salutato la madre con un bacio, la vidi correre in direzione dell’auto sportiva, aprì la portiera e salì. Quello che vidi subito dopo mi lasciò di stucco, in una frazione di secondo passai dalle stelle alle stalle, mi sentii morire. Giovanna, la mia Giovanna, appena entrata in macchina, gettò le braccia al collo all’individuo seduto al posto di guida e lo baciò a lungo, come si conviene a due innamorati, dopodiché l’auto iniziò la sua marcia e sparì in fondo alla strada, mentre la porta di casa si richiuse alle spalle della mamma. Non poteva essere vero, mi dicevo, era un sogno, un brutto sogno. Decisi di suonare lo stesso alla porta di casa, se non altro per avere una conferma o magari una smentita a quello che avevo visto. Col cuore in gola mi avvicinai alla porta. Suonai. La porta si aprì e apparve la mamma col sorriso sulle labbra, credendo forse essere di nuovo sua figlia, sorriso scomparso improvvisamente dopo avermi visto lì, davanti a lei, con la rosa in mano e gli occhi lucidi. Cercò di balbettare qualcosa di incomprensibile, il che mi diede la conferma di ciò che avevo visto. Senza dire una parola, ma con gli occhi gonfi di lacrime, mi voltai e mi allontanai da lei ripercorrendo a ritroso il vialetto fino ad arrivare sulla strada, aprii la cassetta delle lettere e vi depositai con cura la rosa rossa con accanto il biglietto con scritto “Marco”, poi con un grido straziante mi gettai tra le ruote di un camion che giungeva a velocità abbastanza sostenuta. Un urto terribile. Volai in aria e finii in mezzo alla strada con la vista annebbiata e la mente confusa, dolorante e sanguinante, solo, in una città che non conoscevo e a migliaia di chilometri da casa. Udivo solo una voce femminile che mi chiamava, gridava il mio nome: Marco, Marco, mi senti? Marco, Marco, svegliati”. Sentii muovermi la spalla. Mi voltai di scatto ed aprii gli occhi. Era la mia mamma. “ Marco, svegliati o farai tardi all’Università”. Dopo un attimo di stupore scattai in piedi e l’abbracciai amorevolmente, la strinsi forte a me e le sussurrai: “Ti voglio bene, mamma. E mi infilai sotto la doccia cantando a squarciagola. Era proprio un sogno, un brutto, fottutissimo sogno. Giovanna era ancora mia.