Non dimenticherò i tuoi occhi
C’è un gran brusio. Non capisco dove mi trovo, sento attorno a me della gente, ma dev’essere lontana, non riesco a intuire i loro discorsi. Poi non vedo né sento più nulla.
Mi risveglio in un letto di ospedale, il mio corpo collegato a un monitor.
Davanti a me c’è Francesco, mio marito. Si alza, viene verso di me e mi prende la mano.
«Cosa mi è successo?» gli chiedo. Non risponde. «Perché piangi?» Ancora non risponde.
Ho una strana sensazione.
Non so bene cosa mi sia accaduto, forse un incidente; so solo che sono incastrata nel mio corpo e non posso muovermi, posso vedere, ascoltare, ma nessuno può sentirmi.
Mentre tutti stanno in silenzio a guardarmi, nella camera entra un uomo alto e robusto.
«Giampaolo, che ci fai qui? C’è mio marito» dico.
Si avvicina verso di me. Mi prende la mano, mi guarda e una lacrima riga il suo viso.
Vorrei asciugargliela, baciare quelle labbra inumidite. Ma sento la sua mano mi lascia, la posa sul mio petto, come se volesse ascoltarmi e parlarmi con il cuore.
I miei pensieri tornano indietro di qualche anno.
Giampaolo l’avevo conosciuto diciannove anni prima.
Ero da poco una ventiduenne, me ne stavo seduta sul davanzale della finestra quando improvvisamente sentìì la voce di mio fratello:
«Sofia, scendi, ti presento una persona!»
Passai un attimo dal bagno a sistemare i rossi capelli ricci e notai con una smorfia il viso inondato dalle lentiggini, che aumentavano quando la pelle era esposta al sole.
Feci le scale di corsa e in cucina mi trovai di fronte mio fratello Alessandro e un ragazzone alto dalle spalle enormi con una chioma di riccioli neri.
«Questa è Sofia» disse Ale.
«Ciao, mi chiamo Giampaolo. Ti vedo spesso sul treno» disse lui senza staccarmi gli occhi di dosso.
Ero soggiogata dal suo fascino. I lineamenti del suo viso erano ben marcati e facevano risaltare una bocca dalle labbra carnose.
«Ora devo andare. Ci rivedremo?»
«Certo! Magari in treno».
Così ci incontrammo in treno il giorno dopo, e quello dopo ancora, quasi ogni giorno ma mai nessuno dei due dichiarò i propri sentimenti.
Così erano passati gli anni. Conobbi Francesco, lo sposai, diventai mamma, conobbi le gioie e i dolori del matrimonio e capii che avevo sbagliato tutto: ai miei occhi spuntava sempre il sorriso di Giampaolo. Lui era ancora il ricordo più bello della mia vita.
Per diciannove anni io e Giampaolo ci sentimmo solo per le feste e gli auguri di compleanno e qualche volta in chat. Fino a quando lui si decise a invitarmi a cena per festeggiare il mio compleanno.
Dopo cena facemmo due passi in centro. Poi risalimmo in macchina, mi sfiorò le labbra con un bacio e mi disse: «Auguri».
Tirò fuori un bongo al cioccolato con una candelina rosa al centro. L’accese.
«Esprimi un desiderio e poi spegni.»
Chiusi gli occhi per un attimo, poi li riaprii, soffiai e lo ringraziai. Poggiò il dolce sul sedile di dietro, poi mi
tirò a sé e mi baciò. Non potei fare a meno di chiudere gli occhi e rispondere a quel bacio che aspettavo
da tanto tempo.
Ci spostammo in un luogo più appartato; la passione stava esplodendo, i nostri corpi si stavano avvinghiando sotto gli sguardi curiosi di qualche passante. Le sue mani si insinuavano sempre più nei miei pantaloni. La sua mano mi accarezzò i fianchi rotondi scendendo sempre più. Il respiro accelerava e il desiderio aumentava ogni volta che lui mi guardava negli occhi.
Mi abbandonai a quel piacere sublime.
Io e Giampaolo cominciammo a vederci una volta la settimana, poi ogni quindici giorni, infine una volta al mese: il fine settimana in cui la sua fidanzata andava in montagna. Lui le diceva che rimaneva a casa per sbrigare del lavoro urgente e che l’avrebbe raggiunta il giorno dopo. Era davvero poco il tempo che mi dedicava, ma non potevo chiedere di più. Lui amava la sua compagna e per questo non ho mai capito il motivo per cui la tradiva con me.
Il modo in cui mi baciava mentre facevamo l’amore, in cui mi guardava, come mi toccava. Non poteva essere solo voglia di trasgredire.
Mi convinsi comunque che era bello il poco tempo che passavo con lui, mi sentivo felice, come se facessi un pieno d’energia sufficiente fino al giorno in cui lo avrei rivisto.
Questa convinzione però non durò tanto, perché lui cominciò a farsi sentire sempre meno.
Iniziai a pensare che lui mi cercasse solo quando aveva voglia di farsi una scopata.
Decisi di scrivergli una mail per dirgli che capivo che non poteva dedicarmi più tempo, ma due secondi per scrivermi poteva trovarli.
Rispose accusandomi che a me non piaceva stare in panchina e che lui una ragazza l’aveva; in fondo non mi aveva mai promesso niente.
Sentii lo stomaco contrarsi in una morsa rovente, quelle parole mi pesavano come un macigno sul cuore.
Gli dissi che era meglio non vederci più.
Dopo diversi mesi Giampaolo mi chiamò dicendomi che la fidanzata l’aveva lasciato per un altro.
Lui soffriva, tornò da me e io come al solito lo accolsi.
Cominciammo a vederci più di prima. Ero felicissima e innamorata! Mi sembrava di avere di nuovo 20 anni.
Ma più il tempo passava e più lui mi dichiarava il suo desiderio diavere un figlio. Io ormai non avevo più l’età per affrontare una
gravidanza, ma lui non smise mai di chiedermelo.
Capii che dovevo allontanarmi da lui per dargli la possibilità di conoscere ragazze più giovani che
l’avrebbero reso più felice, anche perché mi stavo accorgendo che i suoi occhi non mi guardavano più come facevano i miei, anzi forse non l’avevano mai fatto. Non ci fu comunque bisogno del mio allontanamento perché cominciò a essere freddo, a rimandare i nostri appuntamenti fino a che decidemmo di non vederci più.
Iniziai a non mangiare, a non avere voglia di fare nulla, a non concentrarmi più a casa e sul lavoro, non riuscivo a levarmelo dalla testa.
Per mesi Giampaolo non si fece mai sentire. Non avevo mai sofferto così tanto per amore, forse perché non avevo mai amato così.
Soffro ancora in questo letto d’ospedale pensando a lui, ma mentre mio marito continua a tenermi la mano, di colpo mi vedo seduta sul letto di casa mia, confusa.
Rimango in silenzio per molto tempo. Di fronte al letto c’è uno specchio. Fisso i miei occhi. Mi alzo, chiudo la porta.
Torno sul letto e prendo con foga una manciata di pillole, le inghiotto e poi acqua, poi ancora pillole e acqua. Mi sdraio e sento il mio battito sempre più lento. La mia è una calma stranamente felice.
Ecco perché mi trovo qui. Come ho potuto ridurmi in questo stato?
Per lui non sono mai stata niente d’importante, mentre per me era la vita che scorreva nelle vene.
Per me era perfetto con i suoi difetti e problemi. Avrei mollato tutto per trascorrere il resto della mia vita con lui.
L’ho amato senza ricevere niente in cambio e ora vorrei un’altra possibilità per potermi lasciare amare da qualcuno. Non so se l’avrò mai e la colpa è solo mia.
Ma di una cosa sono sicura: anche se i suoi occhi non mi hanno mai guardata come lo hanno fatto i miei,
sono certa che non li dimenticherò mai.