Che ricordo avete dell’esame di maturità? Nel mio caso trovare un aggettivo adatto mi risulta impossibile.
Frequentavo l’ I.P.S.I.A. (Istituto professionale per l'industria e artigianato) ed ero stato presentato con dei voti abbastanza buoni, tranne nelle cosiddette materie di punta: Matematica ed Elettronica.
In entrambi i casi nel corso dei cinque anni delle superiori, nonostante cercai con umiltà di impegnarmi, i professori non furono propensi ad aiutarmi, specie Marco Aquilino che insegnava la seconda materia citata.
A tal proposito i due o i tre mi venivano assestati senza pietà e il peggio di me lo davo nelle interrogazioni orali. Ma non ero il solo, gran parte della classe aveva la stessa identica rogna.
All’epoca, sulle note di "Azzurro" di Adriano Celentano, al professore poco prima che entrasse in classe noi studenti cantavamo una parodia, di cui riporto uno stralcio:
«Aquilino che quando vieni il cielo è sempre grigio… per me, mi accorgo di non avere più risorse per colpa dei tre. E allora io quasi quasi faccio campagnola e fuggo, fuggo da te…»
In verità non volevo assolutamente iscrivermi in quella scuola. Purtroppo fui obbligato dai miei genitori poichè, secondo una loro convinzione, ne avrei ricavato un utile diploma da sfruttare. Poichè ero (e sono tutt’oggi) un patito di letteratura, a mio avviso sarebbe stato meglio frequentare il liceo classico.
Con mamma e papà fu una battaglia persa e fu già tanto che mi fecero scegliere la sezione: elettronica oppure meccanica.
Scelsi la seconda opzione, anche per via del fatto che sapevo usare sufficientemente bene il computer, per poi pentirmene amaramente quasi subito. Si rilevò una scelta sbagliata perché l’elettronica era infarcita di moltissima e odiosissima matematica basata principalmente su una logica difficile, per non dire contorta, al sottoscritto.
Arrivò finalmente il famoso Giugno 2003, dopo cinque tediosi anni scolastici non vedevo l’ora di diplomarmi. Non ne potevo proprio più, inoltre altre problematiche appesantivano quel periodo, tra cui il bullismo causato dai compagni di scuola e la condizione lavorativa in quanto, sei pomeriggi a settimana, sgobbavo in qualità di commesso/magazziniere in un negozio di casalinghi.
Mi era diventato veramente difficile conciliare lo studio con il lavoro tanto è vero che dimagrii di svariati chili per non parlare dello stress mentale. Sì, diplomarmi avrebbe risolto il 50% dei miei problemi.
Durante gli esami, il primo ciclo prevedeva le dovute tre prove scritte.
In primis il tema d’italiano, che fortunatamente svolsi con dovizia scrivendo copiosamente riguardo la guerra in Iraq, per poi passare al compito di elettronica, ovviamente andato a male, e infine dei quiz a risposta multipla su tutte le materie con dei risultati poco più che modesti.
Venne il fatidico giorno degli orali, per i ripassi nei giorni precedenti mi ero dato da fare sebbene, a causa del lavoro, non proprio come avrei voluto poiché i datori furono poco comprensivi e mi permisero soltanto una settimana per restare a casa a studiare. Non volevo rischiare di perdere quell’occupazione e privarmi di quei miseri 240 euro al mese.
Ci chiamarono singolarmente per ordine alfabetico e appena fu il mio turno mi fecero entrare in una classe istituita apposta per l'esame conclusivo. Posso assicurare che il cuore cominciò a battermi forte per l’emozione.
«Un ultimo step e addio scuola del kaiser!» pensai tra me e me.
I docenti erano disposti in linea orizzontale tramite dei banchi attaccati e tentarono di tranquillizzarmi con dei sorrisi oppure con degli occhiolini complici, compreso l’ispettore scolastico Marelli, un autentico pezzo di pane. Tutti tranne uno: il maledetto Aquilino.
L’interrogazione avveniva in piedi e per determinati esercizi mirati a verificare la preparazione degli allievi ci si avvaleva di una lavagna compresa di gesso e spugna.
«Oh, Dottor Scilipoti! Anzi, leviamo il dottore, giacché non sei manco infermiere!», esordì con un sorriso malizioso il temuto insegnante di Elettronica.
A parte la rigorosità delle interrogazioni, la caratteristica principale di quell’uomo era quel suo insolente umorismo.
Mi sforzai di ignorarlo e rappresentai oralmente la mia tesina ai professori cercando di attenermi il più possibile al il programma.
Me la cavai bene con l’Italiano (La biografia in breve di Eugenio Montale e alcune opere principali), con la Storia (La Prima Guerra Mondiale), col Francese (le fabbriche in Francia agli inizi del novecento spiegate in lingua originale), con Sistemi (lo schema a blocchi) e con l’Educazione Fisica (Il calcio).
Con la Matematica invece le cose andarono un disastro. Nonostante avessi frequentato assiduamente i corsi di recupero pomeridiani, la materia in questione non ci fu proprio verso per farmela entrare in testa e difatti sbagliai l’intera espressione rappresentata sulla lavagna. Cercai di non abbattermi.
Per ultimo mi restò da affrontare lo scoglio più arduo e in cuor mio prevedevo che non sarebbe stata facile spuntarla.