Era un giorno di primavera dell’anno del Signore 1495. Il sole non si era ancora levato, ma il cielo già albeggiava e i cirri sparsi a est erano accesi di una tenue luce rosa. Montai sul mio cavallo e in compagnia del mio cane bracco mi avviai fuori le mura della città per la mia battuta di caccia settimanale nell'agro aversano. Appena superai la chiesa dell'Annunziata, uscendo dalla porta sud della città guardai verso ovest, dove avevo intenzione di dirigermi quel giorno, e vidi già le campagne e le strade rivestite dei primi raggi di sole.
Dopo circa un’ora di cavalcata lenta, per consentire al mio cane di seguirmi senza stancarsi troppo, mi ritrovai nelle campagne di Parete, un piccolo paese a poche miglia a sud-ovest di Aversa. A un tratto, mentre passavamo in un campo di pruni fioriti, mi accorsi che il mio cane stava affannosamente scavando in un punto del terreno. Lo richiamai col fischio al quale, a dire il vero, aveva sempre ubbidito, ma questa volta non lo fece e continuò a scavare in quel punto. Doveva esserci qualcosa là sotto e quindi decisi di approfondire. Non avevo nulla per scavare, mi abbassai sulle gambe per guardare attraverso gli alberi e vidi in lontananza un contadino che stava sarchiando il terreno con la zappa. Lo chiamai e gli chiesi di aiutarmi a scavare in quel punto dove insisteva a scavare il cane. Il contadino, che era il proprietario di quelle terre chiamate col nome di "Terre della Rotonda", esitò un attimo perché secondo lui non poteva esserci nulla di straordinario in quel terreno che coltivava da anni, ma poi fu persuaso dalla mia insistenza e cominciò a scavare, fino a quando non sentimmo la zappa toccare qualcosa di legnoso che stava sotto al terreno. Il contadino avvicinò gli occhi alla zappa e dopo aver toccato con le dita la lama esclamò: "Sacramento, c'è del sangue sulla lama della zappa!"
"Forse hai colpito una talpa o qualche altro animale", risposi, "meglio continuare a scavare e tirare fuori quella cassa di legno o qualunque cosa essa sia!", aggiunsi con convinzione.
Il contadino proseguì a scavare con la zappa finché tirò fuori l'oggetto misterioso. Non si trattava affatto di una cassa, ma di una tavola di legno, e sopra c'era dipinto qualcosa.
La ripulimmo per bene e capimmo che si trattava di un quadro antico che raffigurava la Vergine Maria con il bambino Gesù in braccio e un giovane Santo a destra di lei, con le mani giunte in un gesto di preghiera e una lunga croce tra le braccia. La madonna aveva un bel volto, serio ed espressivo, ma anche leggermente malinconico. Le guance erano dipinte con delle sfumature rosse che la facevano sembrare quasi una contadina di quelle terre, se non che un manto regale di colore azzurro, adornato con vaghe crocette dorate e la corona sulla testa, dicevano chiaramente che si trattava della signora del paradiso, della madre del figlio di Dio.
Il bambinello era dipinto nudo tra le braccia amorevoli di sua madre, con una posa molle e il braccio e la gamba sinistra che spenzolavano da un lato, con un abbandono più forte del sonno che lo facevano sembrare come se fosse morto. In realtà, quella sacra effigie sembrava contenere dentro di sé sia la nascita che la morte di Gesù. Il bambino che sembrava morto, il santo che aveva una croce tra le braccia, il volto triste di Maria... era evidente, quell’immagine rappresentava la nascita di Gesù, ma c’erano dentro anche dei chiari elementi che ne richiamavano la morte.
Nessuno è riuscito mai a capire chi fosse l’autore di quel quadro, ma chiunque sia stato merita sicuramente un posto importante in quella scelta schiera di pittori di immagini sacre. Guardavo quel quadro come estasiato quando a un tratto notai qualcosa sul volto del bambino. Sembrava avere una ferita sull’occhio sinistro. Ci passai sopra con le dita e notai che il sopracciglio sanguinava. "Il sopracciglio del bambino Gesù sanguina!", esclamai. "Guarda, sanguina nel punto dove l’hai colpito con la zappa!", aggiunsi incredulo.
"Vergine santa, Gesù bambino, abbiate pietà di noi!", esclamò il contadino e si inginocchiò davanti alla sacra effigie.
In poco tempo si sparse la notizia del miracolo in paese e accorsero un sacco di persone. Reclamai la proprietà di quel quadro e volevo portarlo ad Aversa, la mia città, perché in fondo a trovarlo fu il mio cane, ma ogni volta che provavo a portarlo via diventava molto pesante. Non riuscii a trasportarlo ad Aversa nemmeno con un carro trainato da una coppia di buoi, allora mi arresi alla volontà della Madonna e decisi di lasciare quella sacra effigie a protezione del popolo di Parete, dove ancora oggi la onorano col nome di Maria Santissima della Rotonda.