33)
Remo stanco in alto mare,
fermo il mezzo in mezzo al nulla,
per potermi riposare
con lo sguardo all’aria brulla.
Se d’un tratto vedo tutto,
sento tutto
e gusto il senso
che mi sale,
butto giù in paradossale
vomito il dissenso.
Diniego!
Rifiuto!
D’esser l’unico a naufragare,
dammi rotta! Dammi forza!
Chiunque sia a farsi pregare;
che preghiere o vil parole,
che ci spreco pure ardore,
che rimane se non un sole,
un mare, due ore,
un coglione
che urla senza far rumore.
34)
Giallo tepore, una terra natia,
vedo i ricordi sfocarsi e andar via,
affievolirsi in pallidi gesti,
che la finestra mi porge gentile
attraverso una luce d’amabili resti.
Penso a una tigre rinchiusa,
che triste ruggisce
e cerca Savana.
Penso alla lumaca
ignuda,
cerca la casa lasciata alla bava.
Penso ai sapori di vita passata,
come se avessi già fatto i settanta,
invece ne ho venti, circa, e millanto
malinconie, ingrato
d’aver il presente già ben soppianto.
È questo che mi da noia:
il fastidio e il privilegio
di una libertà di cartone,
non conquistata ma solo appioppata
in mano, come un sortilegio
di un passato che non m’appartiene.
“Tiettela! Eccola qua,
questa è libertà,
questa è vita,
goditela, ma fanne beltà.”
Io, di mio,
inetto,
la getto,
la sputo e la sotterro,
mi accascio,
mi compiango
e la mia camera diventa la prigione
d’un assassino che vivrà di rimpianto.
35)
Lento decadimento:
dal soave,
me lo sento,
andrò fin dentro all’Ade.
Sento dolore, ma non l’ascolto,
come a dir
mi son fatto male, ma me ne fotto.
Questo veleno, che non rifletto,
avrà modo d’esser pulso
di emozioni, e rimosso,
prima o poi,
come vomito dai reni.
Per il momento lo contento,
fa da scusa e giustificazione
per una vita di remissione,
che mi fa sentir beato.
Tutto gira e resta qui:
lento muove un dì,
il creato.