Ragazzi seduti su muri di mattoni antichi e cadenti
L’autostrada al di là di quel fiume che trasporta schiume rosa, a volte blu
Macchine e camion senza una fine o un inizio
Acceleratori levano nell’aria nuvole grigie che offuscano la vista della città eterna
Alberi piccoli e grandi, a volte medi
Costeggiano le rive
Ma il loro verde è svanito da tempo e le foglie si sono appoggiate con la schiena all’acqua facendosi trasportare lontano da lì
Al loro posto compaiono buste di plastica
Di tutti i colori e dimensioni
Aggrappate ai lunghi rami
Quasi tramortite, lacerate
Una volta si vedevano le rondini nidificare
Ora sono andate via anche loro
Una strada
Senza cartelli, né linee bianche o azzurre
Nessun riconoscimento, identità
Chi vive li da poco riconosce il colore dei palazzoni per arrivare
Ognuno ha il suo
Lo chiamano il quartiere Arcobaleno
Un genio chi ha coniato o forse troppo consapevole
Basta passare quel ponte sopra il fiume
Quello che separa la città millenaria dal quartiere “invisibile”
Arriva l’autobus 250 qui
È sempre di corsa, scarica facce stanche e bambini attaccati a seni delle madri, che ricordano esodi
Due volte di mattina e due di sera
Chiavi penetrano in serrature perlopiù divelte
Porte di ascensori hanno fatto da tela a graffiti suburbani
Qualcuno ha messo delle grate alle finestre
I vasi di fiori colorati le rendono meno prigione
Anche i reclusi hanno la loro dignità
Se si sale sulla terrazza di uno di quei palazzi la vista cambia, quando soffia forte il vento
Si riesce a vedere San Pietro, anche se a malapena
Se abbassi lo sguardo la visione del malaffare lotta con quella precedente
Il Paradiso e l’Inferno
O meglio un Purgatorio
Di quelli dove mettono chi deve scontare un peccato
Dove nessuno ha scelto di esserci
Dove tutti i giorni chi ci vive lotta
Dove trovi chi impreca lo Stato o l’ultimo politico
Dove bambini, nonostante tutto, crescono felici, ma più velocemente dei quelli al di là del ponte
Dove si ama
Dove, se per gli altri siamo “invisibili”, noi ci sentiamo vivi